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Antitabacco: tutto fumo e niente arrosto
Speciale a cura di FORCES Italiana (www.forceitaly.org) 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8

Tabagismo: i morti che non esistono
e i salutisti danno i numeri
Il diritto di fumare in pubblico i fumatori se lo comprano
Questo articolo è un estratto dal documento "Menzogne, maledette menzogne e i 400.000 morti da tabagismo’; di Robert Levy e Rosalind Marimont. il documento originale di sette pagine descrive passo per passo la sistematica distorsione della metodologia usata per raggiungere la cifra di oltre 400.000 morti. Si noti che, sebbene il documento parli delle statistiche americane, la metodologia è identica per ogni altra nazione, inclusa l’Italia. Infatti, quando si sente parlare dei 90.000 morti in Italia, o dei vari milioni di morti nel mondo, non si parla di studi fatti indipendentemente nelle varie nazioni, ma di una stima ottenuta usando lo stesso computer software usato per calcolare le morti virtuali negli USA. Dai tempi in cui questo documento fu scritto (1998) il numero dei morti da tabagismo in USA è misteriosamente aumentato a circa 450.000, su circa 280 milioni di abitanti. L’Italia, con un quinto della popolazione USA, ha un quinto delle "morti’; indipendentemente dalla miriade di differenze come cultura, abitudini alimentari, stile di vita, genetica e così via: 450.000 : 5 = 90.000. E' così semplice.

Con un curriculum di distorsione come quello del fumo passivo, non dovrebbe essere sorprendente che i crociati antifumo falsifichino anche il numero delle "morti per tabagismo".

Cominciamo col considerare le malattie che sono incorrettamente classificate come "smoking-related". Il Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti prepara e distribuisce informazione sulla mortalità attribuibile al fumo, morbilità e costi economici dello stesso - smokingattributable mortality, morbidity and economic costs (SAMMEC). Nel suo Morbidity and Mortality Weekly Report del 27 Agosto 1993, la CDC dichiara che 418.690 americani morirono nel 1990 per varie malattie contratte, secondo il governo, per via del fumo.

Le malattie sono catalogate come "smoking-related" se il rischio di morte per i fumatori eccede quello dei fumatori. In gergo epidemiologico, un rischio relativo maggiore di i indica una connessione tra esposizione (fumo) ed effetto (morte). Teniamo però presente Io standard del National Cancer Institute: "Rischi relativi inferiori a 2 sono da considerarsi piccoli. Tali incrementi possono essere dovuti ai caso, tendenziosità statistica, o effetti di fattori concomitanti che in qualche modo non sono [stati] evidenziati". E il Federal Reference Manual on Scientific Evidence conferma che la soglia, anche per significanza legale, è un rischio relativo di due o più. Per ogni rischio inferiore a due, i risultati sono insufficientemente affidabili per concludere che un particolare agente (per esempio il fumo) abbia causato una particolare malattia.

Che succederebbe se si escludessero dai dati del SAMMEC le morti causate da quelle malattie che hanno dimostrato un rischio minore di due per fumatori o ex fumatori? Una delle tavole del SAMMEC dimostra che 163.071 delle morti riportate dalla CDC erano da malattie che non dovevano essere incluse nel rapporto. A ciò, aggiungete altri 1.362 morti da ustioni — salvo che si pensi che Philip Morris sia responsabile pure quando un fumatore si addormenta con la sigaretta accesa. Ciò rappresenta un totale di 164.433 morti falsamente riportate [come morti da tabagismo] su 418.690. Quindi, quando ci si limita alle morti che abbiano una relazione [statisticamente] significativa con il fumo, il totale scende già a 254.257. Di conseguenza, solamente su questa base, il SAMMEC esagera il numero delle morti dei 65 percento.

Ma c’è di più. Scrivendo a proposito di "Attribuzione di rischio e morti per tabagismo" (Risk Attribution and Tobacco-Related Deaths) sull’American Journal of Epidemiology, i proff. T.D. Sterling, W.L. Rosenbaum, e J.J. Weinkam esposero un’altra esagerazione — che eccede il 65 percento —emergente dall’uso della Cancer Prevention Survey (CPS) dell’American Cancer Society come base di riferimento per computare le morti in eccesso. Di seguito è descritto come un’agenzia governativa, la Office of Technology Assessment (OTA) calcola il numero dei morti causate dal fumo.

L’OTA determina, per prima cosa, il tasso di mortalità per le persone che erano parte del campione CPS e che non avevano mai fumato. Dopo ciò, il tasso è applicato al totale della popolazione USA per stimare il numero di americani che sarebbero morti se nessuno avesse mai fumato. Infine, l’ipotetico numero di morti per coloro che si presume non abbiano mai fumato viene sottratto dal numero reale delle morti negli USA, e la differenza viene attribuita al fumo. Quest’approccio potrebbe sembrare ragionevole, se un’importante condizione fosse soddisfatta: il campione CPS deve essere approssimativamente lo stesso della popolazione americana in generale per quanto concerne quei fattori che, escludendo il fumo, potrebbero essere associati con il tasso di mortalità. Ma come Sterling, Rosenbaum, e Weinkam fanno notare, nulla potrebbe essere più lontano dalla realtà.

L’American Cancer Society basa il suo studio CPS su un milione di volontari, uomini e donne, provenienti dalle schiere dei membri dell’ACS, inclusi amici e conoscenze. Le persone che partecipano allo studio sono più ricche della media, di razza bianca per la stragrande maggioranza, sposati, studenti delle scuole superiori; tutta gente che generalmente non ha lavori che implicano esposizione a rischio. Ognuna delle caratteristiche summenzionate tende a ridurre il tasso di mortalità del campione CPS che, come risultato, dimostra una durata media della vita che è sostanzialmente più lunga di quella dell’americano medio.

Siccome l’OTA parte con un tasso di mortalità atipicamente basso per i non fumatori nel campione CPS e quindi applica quel tasso all’intera popolazione, la referenza usata per determinare l’eccesso di morti è fortemente sottovalutata. Comparando le morti reali con tale referenza, l’OTA crea quindi l’illusione che un gran numero di morti siano dovute al fumo. Sterling e gli altri autori riportarono che non solo il tasso di morte è notevolmente più basso per il campione CPS di quanto lo sia per gli interi Stati Uniti ma anche, incredibilmente, che i fumatori nel campione CPS hanno un tasso di morte più basso della media nazionale per sia fumatori, sia non fumatori. Come risultato, se l’OTA avesse usato il tasso di mortalità CPS per fumatori, avesse applicato quel tasso alla popolazione totale, e avesse quindi sottratto il numero di morti reali di tutti gli americani, l’OTA avrebbe scoperto che il fumo salverebbe 277.621 vite ogni anno. Naturalmente gli autori ammoniscono che il loro calcolo è assurdo, e che non è un miracolo medico. "Quelle vite sarebbero realmente risparmiate solo se la popolazione americana morisse con il tasso di morte dei fumatori nel campione CPS, composto da persone con un buon tenore di vita", affermano. Tristemente, il tasso di morte degli americani è considerevolmente più alto di quello rappresentato dal campione CPS.

Quasi altrettanto inquietante è il fatto che ricercatori come Sterling, Rosenbaum e Weinkam identificarono quest’aberrazione statistica molti anni fa; tant’è, il governo insiste nel pubblicare dati su morti per tabagismo che sa essere enormemente gonfiati. (1) Anche se le morti reali fossero state comparate ad un appropriato campione di referenza per i non fumatori, il numero delle morti non potrebbe essere attribuito solo al fumo. Non si può ipotizzare che la sola differenza tra fumatori e non fumatori sia il fumo. I due gruppi sono differenti in molti altri aspetti, alcuni dei quali hanno influenza sulla loro inclinazione a contrarre malattie che sono state identificate come relative al fumo. Per esempio, in America, il tasso di alcolizzati è più alto tra i fumatori; i fumatori in media fanno meno esercizio fisico, mangiano meno verdure, hanno più probabilità di essere esposti a cancerogeni sul lavoro, e sono più poveri dei non fumatori. (2) Che succederebbe se i fumatori facessero tanto esercizio fisico e si nutrissero con diete alimentari sane, mentre i non fumatori non facessero esercizio e mangiassero tanto "fast food"? Naturalmente, in entrambi i casi esistono fumatori e non fumatori che soddisfano questo criterio. Il dottor William E. Wecker, un consulente statistico che ha testimoniato per l’industria del tabacco, esaminò il database CPS e trovò migliaia di fumatori con relativamente bassi fattori di rischio e migliaia di non fumatori con alti fattori di rischio. Comparando i tassi di mortalità dei due gruppi, il dottor Wecker scoprì che "i fumatori erano più sani, spesso con un fattore di tre volte, dei non fumatori". E’ chiaro che gli altri fattori concomitanti di rischio sono importanti, e che ogni studio che li ignori è totalmente senza valore. Nondimeno, se sei un fumatore obeso, hai una lunga storia di presenza di colesterolo nella tua famiglia, soffri di diabete e di problemi cardiovascolari, nonché insisti a non fare esercizio - e quindi muori di un attacco cardiaco, il governo attribuisce la tua morte "esclusivamente" al fumo.

Ma la rivelazione più grande di tutte è che, anche considerando vere le 420.000 morti ufficiali, quasi 255.000 morti per tabagismo o quasi il 60 percento del totale — si verifica ad o oltre i 70 anni d’età. Se "azzeriamo il contatore" e riosserviamo, notiamo anche che più di 192.000 morti — o quasi il 45 percento del totale — si verificano ad o oltre i 75 anni, infine, circa 72.000 morti — o quasi il 17 percento del totale — si verificano a od oltre gli 85 anni di età. Ciononostante, la sanità pubblica, conscia di questa realtà, continua a definire "premature" le morti dei fumatori, come se non esistesse limite alla durata della vita.

La campagna contro le sigarette non è però completamente disonesta. Dopotutto, un pizzico di verità rende ogni menzogna più credibile. L’evidenza dimostra invero che le sigarette incrementano il rischio statistico di cancro polmonare, bronchite ed enfisema. Ma in comparazione a tali malattie, la relazione tra il fumo e altre patologie non è neanche vagamente chiara - mentre la valanga di paure salutiste che sono travestite da scienza ci lascia senza fiato. Non solo il tabacco è assai meno pernicioso di quello che si vuol far credere, ma il suo effetto distruttivo è amplificato in ogni modo concepibile dai contabili statistici. Per essere franchi, non c’è evidenza credibile che le 400.000-e-più morti l’anno -o neanche un numero vagamente vicino - siano causate dal tabacco. Tantomeno, tale numero non è stato compensato per gli effetti positivi del fumo: meno obesità, coliti, depressioni, morbo di Alzheimer, morbo di Parkinson e, per alcune donne, minore incidenza di cancro della mammella. I veri danni del fumo non sono né noti, né conoscibili con precisione. Quegli statisti che hanno ancora un senso di responsabilità sono d’accordo che è impossibile attribuire una causa a una singola variabile, come il tabacco, quando esistono fattori causali multipli che sono correlati l’un l’altro. I danni delle sigarette sono assai minori di quello che ci vogliono far credere. Ma, più importante di tutto, il governo dovrebbe smettere di mentire, e smettere di fingere che le morti dal tabagismo siano nulla più che un semplice artefatto statistico. L’essenza della scienza è che la verità è il suo scopo più importante.

Quando tale essenza cede alla politica, siamo tutti a rischio. Tristemente, ciò è esattamente quello che è successo quando le nostre autorità sanitarie hanno falsificato l’evidenza per promuovere la loro crociata antifumo.

NOTE

1) Rosenbaum, Weinkam, e specialmente Sterling, pagarono un duro scotto per aver evidenziato questa distorsione statistica. Prontamente accusato di essere stato corrotto dall’industria del tabacco, il prof. Sterling, brillante ricercatore con lunga e distinta carriera, si trovò improvvisamente chiusi tutti gli sbocchi professionali, e fu costretto a ritirarsi dalla professione. Egli fu anche l’oggetto di protratto e intenso linciaggio morale da parte della stampa.

2) Negli USA, per via dell’incessante propaganda salutista, nelle ultime due decadi le classi sociali più alte hanno fortemente ridotto l’uso delle sigarette, lasciando il godimento di questo bene alle classi più povere, che sono quindi assai più esposte a rischi ambientali e lavorativi — rischi intenzionalmente ignorati dalle statistiche antifumo.

Il testo originale inglese è disponibile PDF al seguente indirizzo Internet: www.cato.org/pubs/regulation/regv2ln4/iie s.pdf. La traduzione integrale in italiano è all ‘indirizzo. www.forces.org/italv/download/menzogne.pdf

Nel 1997 l’Italia ha prodotto 130.000 tonnellate di tabacco. Grazie al tabacco, l’erario di stato ha incassato 14.000 miliardi in sole tasse indirette, e 325.000 persone sono state impiegate, di cui 156.000 nel solo settore dell’agricoltura. Il totale giro d’affari per quell’anno ha ecceduto i 20.000 miliardi. Simili cifre si applicano agli anni seguenti. A ciò si aggiungano le tasse dirette sul tabacco. Il costo di produzione di un pacchetto di Marlboro è di meno di 800 lire. Il profitto lordo della Philip Morris è di circa 600 lire. Il tabaccaio fa il 10% fisso sul prezzo di vendita, in questo caso 560 lire. I costi di distribuzione sono circa 30 lire il pacchetto. Totale: 1980 lire. Delle 5.600 lire che si pagano al tabaccaio, quindi, 3.620 vanno allo stato in profitto diretto tramite tassazione. La PM ci guadagna il 14%, il tabaccaio il 10%, lo stato il 64%, e il resto sono spese varie. Simili proporzioni si applicano a tutte le marche di sigarette, anche quelle di prezzo più basso. Questo si traduce in un’entrata media per l’erario di stato di oltre 13.000 miliardi l’anno. Sommiamoli ai 14.000 miliardi delle tasse indirette, e trascuriamo completamente il giro d’affari, l’impiego che il tabacco crea, e gli ovvi benefici per l’economia nazionale. Risultato: 27.000 miliardi. In un anno ci sono esattamente 31.557.600 secondi. I fumatori italiani contribuiscono allo stato 855.578 lire ogni secondo, 24 ore il giorno, ogni giorno dell’anno.

E queste non sono statistiche da epidemiologia multifattoriale, altresì conosciuta come ‘scienza rottame". Sono cifre reali, contribuite da una grossa minoranza di cittadini. Se qualsiasi altro gruppo contribuisse alla comunità in tale misura, esso sarebbe riverito e rispettato ovunque esso si rechi. Invece, tutti sappiamo che si vuole cacciar fuori il fumatore da qualsiasi contesto sociale. Lo stato si difende affermando che i costi per curare le malattie da tabacco eccedono i guadagni. Si dà il caso che ciò non sia altro che ancora un’altra fandonia sul fumo. Ciò per due principali ragioni.

Innanzitutto, la bibliografia sulla sanità pubblica è stata notoriamente incapace di produrre studi attendibili sui costi sanitari del fumo. Come scrivono gli economisti Anil Markandya e David Pearce del British Journal of Addiction, "le varie stime prodotte sono generalmente infondate per ciò che concerne qualsiasi valida teoria sui costi sociali". Quest’accusa è rivolta anche alle ripetute "stime" emesse dai singoli governi.

Potenzialmente, tutti i principali studi economici (per esempio, gli studi realizzati dagli economisti accademici, pubblicati sui giornali economici ufficiali) negli ultimi vent’anni mostrano che il tabacco, lungi dall’imporre un netto costo sociale, genera invece netti benefici - un giudizio quasi unanime di tutti i ricercatori impegnati negli studi sanitari. Tutto sommato, quindi, esiste un netto trasferimento di ricchezza che va dai fumatori ai non fumatori. E questo senza considerare che le morti "da tabagismo" (e i costi per curare le malattie che precedono tali morti) sono un’esagerazione così grande da eccedere il campo dell’errore statistico ed entrare in quello della truffa premeditata, sia per quanto riguarda il numero dei morti, sia per l’attribuzione delle malattie al fumo. Nel trattato "Menzogne, maledette menzogne, e i 400.000 morti da tabagismo", esperti come Levy e Marimont, tra moltissimi altri, dimostrano in dettaglio come questa truffa statistica, economica e scientifica sia perpetrata negli USA e nel mondo.

Quanto "costano" dunque i fumatori alla società di cui - per mettere in luce quell’ovvio che lo stato preferisce ignorare. Essi fanno parte integrante? Nessuno lo sa, perché è assolutamente impossibile accertarlo con qualsiasi grado d’attendibilità siccome la scienza non può stabilire attendibile causalità. Una cosa è certa: assai meno di quanto ci dice la propaganda. Ma essendo questo il caso, i netti benefici sociali del consumo di tabacco vanno a beneficio di tutti, e specialmente dei non fumatori, in quanto sono la maggioranza.

Una tassa esiste ed è calcolata in funzione di un costo specifico imposto al sistema dal consumo di quel bene. Per esempio, la tassa sulle automobili e sulla benzina esiste (in teoria) per mantenere strade e sicurezza per gli automobilisti che la pagano. Sempre in teoria, coloro che non usano l’auto, non beneficiando personalmente della strada, non pagano le specifiche tasse. Ma nel pozzo fiscale senza fondo dello stato, tutto si perde e si confonde, e ciò è particolarmente vero per il contributo dei fumatori. Se le tasse sul tabacco andassero esclusivamente ad integrare il contributo all’assistenza mutualistica dei fumatori (come sarebbe giusto, perché solo loro pagano la tassa, dunque solo loro dovrebbero ricevere i benefici) in aggiunta al contributo che il fumatore, come qualsiasi altro cittadino, deve pagare alla sanità, è molto verosimile che i fumatori italiani potrebbero permettersi cure mediche d’alto livello — specialmente se si ridimensionano tutte le fandonie sull’attribuzione delle malattie "da tabagismo", mentre i non fumatori probabilmente languirebbero nelle corsie d’ospedali d’assai più bassa lega.

Il fumatore contribuisce al bene di tutti; senza le sue tasse, tutti dovremmo contribuire molto di più. Ciò che i non fumatori dovrebbero tenere sempre presente quando, irritati, esigono che le sigarette siano spente perché "mi da fastidio il fumo", è che il diritto di fumare in pubblico i fumatori se lo comprano.

Nulla e più importante della salute: questo è l’esplicito messaggio che sentiamo ogni giorno dalla grancassa propagandistica di stato Le pesanti implicazioni di tale messaggio devono essere ponderate con estrema attenzione. Ciò significa che economia, volontà e libertà personale, famiglia, libertà di stampa e informazione, comportamenti individuali e sociali, industrie, mercato e marketing, politica - Tutto deve essere sottomesso a - e controllato da - questo o quel gruppo in camice bianco. Inclusa la verità. Specialmente la verità. Non si può parlare di tabacco salvo che se ne parli male, e se ne mettano in risalto solo i lati negativi. E’ di pochi giorni fa’ la casuale scoperta su internet di un enorme studio fatto in California (187.000 persone, dal 1960 al 1997) (1) che indica senz’ombra di dubbio che (sebbene il numero dei fumatori sia passato dal 50 percento al 22 percento della popolazione in quello stato in 37 anni), il numero delle morti da cancro polmonare è rimasto invariato. Le implicazioni per il cartello antifumo non hanno bisogno di alcuna descrizione. Pubblicato nel 1999, tale studio, finanziato dall’American Cancer Society, non ha ricevuto alcuna copertura dai media. Se però il numero dei cancri fosse diminuito in proporzione al numero dei fumatori, lo avrebbero saputo persino i trichechi.

L’ACS, infatti, non ne ha fatto menzione, perché tale realtà contraddice le fandonie divulgate dall’ACS stessa nella sua campagna antifumo. Bisogna convincere tutti che il fumo provochi almeno il cancro, così la gente corre a smettere di fumare con i prodotti di cessazione venduti da quelli che finanziano il tutto, ovvero le multinazionali farmaceutiche.

Le cause mai perse / Nessun risarcimento in vista
I più grandi promotori di questi prodotti sono i ministeri della sanità, sotto gli auspici dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, di cui le multinazionali farmaceutiche sono partner ufficiali. Così la campagna promozionale dei prodotti di cessazione è pagata con le tasse dei cittadini e non dai produttori, alla faccia dei gabbabili e in nome della salute.

La stessa censura informatica si applica contro il nemico pubblico numero uno: l’industria del tabacco. Quando un tribunale condanna l’industria del tabacco a "risarcire" le solite migliaia di miliardi per "malattie da tabagismo", ecco che tutti i media riportano trionfalmente, e col massimo risalto, che i "venditori di morte" sono stati sconfitti un’altra volta, confermando la propaganda di quei truffatori - istituzionalizzati o meno - che promuovo la propaganda medico-politica antifumo. Ma, come detto prima, la più grande vittima del salutismo è la verità.

Ciò che i media non riportano mai è che tutte quelle cause che sono vinte dagli antifumo in prima istanza, sono poi perse in appello.

Tutti si sono scagliati contro l’industria dalle "profonde tasche": assicurazioni, gruppi di consumatori, intere nazioni, quasi tutti gli stati dell’unione americana, la Food and Drug Administration, individui privati, certe associazioni mediche... la lista potrebbe andare avanti per decine di pagine. In prima istanza, davanti a giurie ai cui membri è stato lavato il cervello con decadi di propaganda, ha vinto quasi sempre il cartello antifumo. Ma in seconda istanza, coloro che hanno fatto causa all’industria del tabacco hanno perso. Tutti (!), e senza eccezione (2) La ragione è sempre e solo una: quando si esamina la vera scienza, non si può provare la causalità di nemmeno una della malattie attribuite al tabacco. E siccome il sistema giudiziario dei paesi democratici è forzato ad attenersi ai fatti e non alla propaganda, quando essi finalmente emergono in seconda istanza (se non in corte di cassazione), l’industria del tabacco emerge vittoriosa.

Ma ecco che la cortina del silenzio scende sulla stampa e, più a monte, sulle agenzie di stampa, che forse non considerano "appropriato" distribuire comunicati che non mettano in cattiva luce l’industria del tabacco, e che addirittura rischino di creare dubbi nella popolazione circa le fandonie sul fumo, o che possano in qualche modo alleviare il risentimento pubblico edificato contro le multinazionali delle sigarette, e costato così tanti miliardi dei contribuenti. La gente deve credere che l’industria del tabacco sia stata smascherata (e punita) come causa delle malattie che affliggono il genere umano, ed anche che sia stata così perversa da non "autobancarottarsi" e chiudere i battenti o, perlomeno, così cattiva da non fare pubblicità contro il suo stesso prodotto, come vogliono i social-salutisti!

L’occhio ammiccante dello stato e di così tanti media alla frode informatica e scientifica concernente l’antifumo (o qualsiasi altro isterismo sulla salute) rappresenta un gravissimo pericolo dei nostri tempi, perché esso dimostra l’inclusione della frode e della disinformazione tra i leciti mezzi per prima indurre, e poi forzare, i cittadini a comportarsi come desidera lo stato. Diventa quindi accettabile mentire in tutto o in parte, basta ammantarlo d’altruismo. L’etica medica e giornalistica sono cose ormai sorpassate. Quello che conta è convincere la gente, non importa con quali mezzi.

La forma più perniciosa di schiavitù non è l’essere in catene, ma l’essere schiavi e condizionati mentre si è persuasi d’essere liberi e indipendenti. E nel caso del salutismo, il socialismo più abietto ha indossato il camice bianco.

NOTE

[1] Smoking cessation and mortality trends among 118,000 Californians, 1960-1997. 1: Epidemiology 1999 Sep;10(5):500-12. PubMed — National Library of Medicine.

[2] Vedere libreria sito FORCES International al seguente indirizzo: www.forces.org/articles/index.htm

Quando il legislatore non è in grado di condannare qualcuno, può sempre escogitare un sistema tutto suo: modificare la norma. In questo modo, comportamenti considerati legali diventano comportamenti da perseguire. Vi spieghiamo cosa è stato fatto, quattro anni fa, per riuscire a condannare le tanto odiate multinazionali del tabacco. Una lezione da studiare a fondo.

Lo stato che cambia le regole: il caso della Florida: Viva il fumo, anzi no, abbasso il fumo
Nel 1997, i media di tutto il mondo riportarono trionfanti che le multinazionali del tabacco erano state "finalmente" sconfitte, e messe in ginocchio dalla schiacciante evidenza scientifica prodotta dalla pubblica accusa in Florida. Le multinazionali avevano accettato di compensare le loro "vittime" (i fumatori) con la cifra, concordata extra giudiziariamente, di 11,3 miliardi di dollari, in altre parole, oltre 23.000 miliardi di lire. Finalmente, la "verità" sul fumo aveva dunque trionfato, sentenziarono i media, e "giustizia" era stata fatta. Ma abbiamo visto che assai raramente le multinazionali perdono le cause. Perché persero questa volta? Ecco ciò che la stampa non ha riportato "per il vostro bene".

Nota: questo caso non ha nulla a che vedere con il recente super-caso della Florida dell’estate del 2000, in cui fu aggiudicata la cifra record di 145 miliardi di dollari a risarcimento di danni per "malattie da tabagismo". Tale caso è ora in appello, e tutti gli analisti legali americani prevedono che esso sarà annullato per forti irregolarità costituzionali occorse durante il processo, e per l’impossibilità di provare causalità nelle "malattie da tabagismo".

Sbavando rettitudine morale, il Governatore della Florida Lawton Chiles annunciò nel Febbraio del 1997 che le multinazionali del tabacco avevano accettato di pagare 11 miliardi di dollari per mettere fine alla causa condotta dal suo stato contro di esse a scopo di risarcimento delle spese sanitarie sostenute per le "malattie da tabagismo". Se il fine fosse stato solo quello di rimpinguare le allora vuote casse dell’assistenza sociale, Chiles poteva senz’altro essere orgoglioso del risultato. Ma per coloro che hanno ancora a cuore integrità giudiziaria e legittime procedure legali, l’accordo della Florida è semplicemente vergognoso, perché priva un’industria al momento non popolare grazie alla propaganda di stato, di tutte quelle protezioni giuridiche che noi diamo comunemente per scontate. Ecco come l’ "accordo" fu raggiunto.

In oltre quattro decadi, e nonostante migliaia di cause, nessun fumatore in America è mai riuscito ad ottenere un singolo dollaro di risarcimento per le cosiddette "malattie da tabagismo". Le giurie avevano sempre sostenuto che siamo tutti liberi di consumare qualsiasi prodotto che sia legale, a patto che ne soffriamo le conseguenze, se e quando esse si verificano. Però, secondo il fondamentale principio legale noto nella giurisprudenza americana come assunzione di rischio, i singoli stati possono sempre far causa ad un produttore per il recupero delle spese sanitarie; ma in questo caso, gli stati sono soggetti all’onere della prova alla pari di qualsiasi privato cittadino, e devono quindi confrontarsi con la stessa linea di difesa che l’accusato opporrebbe al privato cittadino, in questo caso, quella basata sull’assunzione di rischio.

Nonostante le asserzioni degli "antifumo", però, tutte le "malattie da tabagismo" sono spiccatamente multifattoriali, vale a dire che per nessuna di esse — e in nessun caso si può stabilire che il tabacco sia stato la causa della malattia esaminata. Ciò vale sia nell’ambito scientifico, sia in quello legale.

Gravata da un gran deficit nel sistema sanitario, renitente ad implementare un incremento fiscale, ed incapace di prevalere nei tribunali contro le multinazionali delle sigarette, la Florida escogitò una soluzione legislativa molto "creativa": rese semplicemente illegale l’uso dell’assunzione di rischio come linea di difesa nelle cause concernenti la sanità e, per aggiungere beffa al danno, rese questa trovata retroattiva, in modo che fosse applicabile anche a malattie "da tabagismo" "causate" da sigarette vendute diverse decadi addietro. Per completare l’operato, e prevenire ogni rimanente possibilità di verdetto avverso, la Florida rese anche illegale ogni clausola che richiedesse prova di causalità a livello individuale; in altre parole, invece di dover dimostrare che la malattia di un particolare individuo fosse causata dal fumo, all’accusa si richiedeva solo di produrre statistiche cumulative che indicassero la maggiore prevalenza di certe malattie tra i fumatori. Se, per esempio, le statistiche dicono che il cancro polmonare è prevalente nei fumatori (oltre i 70 anni d’età in media), se tu fumi ciò costituisce prova che il tuo cancro polmonare (contratto, diciamo, all’età di 50 anni) sia causato dal fumo, ad esclusione di qualsiasi altro fattore concomitante.

Naturalmente, lo stato negò le accuse che ciò vanificasse ogni difesa dei produttori. Uno degli avvocati del pubblico ministero affermò: "…ciò non vuol dire che l’industria del tabacco sia senza difesa. Essa può ancora dimostrare che lo stato abbia le mani sporche — cioè che esso abbia partecipato ad attività di promozione del tabacco". Si noti come l’attività di promuovere una sostanza legale, e non provata letale sia equiparata ad un ‘attività criminale per pubblico consumo. Ad ogni modo, lo stato fece sì che anche quella possibile linea di difesa non fosse udita dalla giuria.

Durante il processo, mentre il pubblico ministero lamentava la "carneficina del fumo" che, naturalmente, era tutta colpa delle multinazionali, esso convenientemente dimenticava i fatti, senza dubbio molto imbarazzanti: dieci dei 23 rappresentanti del Congresso della Florida avevano votato per continuare i programmi di finanziamento federale alla produzione del tabacco; lo stato della Florida aveva appena investito 825 milioni di dollari (1.650 miliardi di lire) dei suoi fondi pensionistici in azioni delle multinazionali del tabacco, mentre i detenuti delle prigioni della Florida producevano grandi quantità di sigarette da vendere localmente, e per uso interno. Quando le multinazionali chiesero di poter presentare questi fatti alla giuria, il pubblico ministero richiese la soppressione ditali prove — richiesta che, naturalmente, fu prontamente concessa dal giudice.

Posta di fronte a difficoltà insormontabili non solo in Florida, ma in dozzine d’altri stati dove cause simili attendevano quel verdetto per uso come precedente procedurale, l’industria decise di capitolare, e di trovare un accordo".

Fu l’accordo consensuale? Sicuro, tanto consensuale quanto l’ammissione delle donne che il seme di Satana era freddo quando imputate dalla Santa Inquisizione; tanto quanto l’accordo nazionale stilato l’anno dopo, dove le multinazionali "accettarono" di sganciare 240 miliardi di dollari nei seguenti 20 anni (oltre 500.000 miliardi di lire) — tutti pagati dai fumatori tramite l’aumento del prezzo delle sigarette. Ci si chieda perché mai un’industria accetterebbe di sottomettersi al controllo della Food and Drug Administration (Amministrazione Cibi e Medicine), la cui giurisdizione non ha nulla a che vedere col tabacco, altererebbe la promozione del suo prodotto al punto da fare pubblicità contro se stessa, eliminerebbe le macchine distributrici di sigarette, ed infine accetterebbe di pagare enormi multe se in futuro il numero dei fumatori di età più giovani non diminuisse di una quantità stabilita dallo stato — tutto in cambio di un’immunità parziale da causa che fino a quel momento non erano costate all’industria un centesimo in danni, siccome non è possibile provare la causa delle "malattie da tabagismo"?

In normali circostanze, non vi sarebbe alcuna ragione. Ma, in questo caso, l’alternativa era quella di affrontare quasi 40 cause in altri stati, tutte condotte nell’ambito di un sistema legale perverso, che avrebbe negato ogni possibile difesa - Come nel caso della Florida, la cui manovra sarebbe stata senz’altro imitata. Chiamare ciò che è successo in Florida giustizia, o tanto meno accordo consensuale, richiede almeno un’anima corrotta.

Si noti che:

• Il cambio delle procedure giuridiche fu praticato, senza nemmeno avvertire gli accusati, dopo l’inizio del processo, quando era diventato chiaro che, ancora una volta, lo stato non avrebbe potuto dimostrare la causalità delle "malattie da tabagismo".

• Sei mesi dopo l’estorsione, la Florida ripristinò la legge alla normalità.

• Quei fumatori che furono usati per la causa collettiva contro le multinazionali non intascarono neanche un centesimo. Tutto lo spoglio finì nelle tasche dello stato, fatta eccezione dei dodici avvocati che portarono avanti la causa contro le multinazionali, il cui onorario fu il 25% dell’estorto, cioè oltre 229 milioni di dollari l’uno (si, oltre 460 miliardi di lire a testa).

• All’estorsione seguirono furiose battaglie legali (ancora in corso) tra gli avvocati e lo stato, e tra gli avvocati stessi, per aggiudicarsi fette di bottino ancora più grandi.

Se a quel punto potevano ancora esistere dubbi che l’antifumo fosse basato su null’altro che delinquenza, questo caso avrebbe dovuto fugarli tutti.

Considerando tale livello di corruzione, non c’è da sorprendersi che il ministero della sanità italiano, con il prode antifumo Veronesi alla testa di questa crociata truffaldina, intenda fare causa alle multinazionali dall’interno degli Stati Uniti. Il fatto poi che l’Italia sarà cacciata a pedate fuori dalle corti americane, come è già successo al Canada, al Nicaragua, ed a diverse altre nazioni per motivi giurisdizionali, ciò deve essere l’oggetto di un altro articolo. E’ chiaro che l’America vuole tenere i frutti dell’estorsione tutti per se. E, come si dice in inglese, tra ladri non c’è onore.