Nato nel 1924 a Sesana, in provincia di Trieste, Danilo Dolci compie
i primi studi in Lombardia. Le sue letture spaziano dai Dialoghi
di Platone ai grandi poeti del Romanticismo tedesco ai classici
del pensiero orientale.
Nel 1943 rifiuta di vestire la divisa repubblichina ed e' arrestato
a Genova: riesce a fuggire riparando in Abruzzo. Al termine del
conflitto, e' di nuovo a Milano, dove si iscrive alla facolta' di
Architettura e conosce, tra gli altri, Bruno Zevi. Per guadagnare
qualcosa, insegna presso una scuola serale a Sesto San Giovanni:
tra gli operai che siedono dietro i banchi c'e' anche Franco Alasia,
col quale inizia un importante e fecondo rapporto di amicizia e
collaborazione.
E' del 1950 una scelta fondamentale per tutto il suo percorso successivo:
a un passo dal completamento degli studi, lascia l'Universita' e
va a vivere a Nomadelfia, la comunita' di accoglienza per bambini
sbandati dalla guerra, sorta nell'ex campo di concentramento nazifascista
di Fossoli (Modena) per volonta' di don Zeno Saltini, guardata con
sospetto dai benpensanti e considerata un pericoloso covo di sovversivi
dalla gretta classe dirigente di quegli anni e dalle stesse gerarchie
cattoliche.
Due anni dopo, Dolci si trasferisce in Sicilia, nel piccolo borgo
marinaro di Trappeto (dove era gia' stato tra il '40 e il '41, per
circa un mese, al seguito del padre ferroviere), povero tra i poveri
in una delle terre piu' misere e dimenticate del Meridione. Comincia,
cosi', a essere tracciata una delle pagine piu' limpide e intense
della difficile rinascita civile e democratica dell'Italia dalle
macerie morali e materiali del fascismo e della seconda guerra mondiale.
Dolci stesso parlera' di "continuazione della Resistenza, senza
sparare".
Il 14 ottobre 1952, sul letto di un bambino morto di fame, Danilo
Dolci da' inizio al primo di numerosi digiuni, che daranno grande
popolarita' alle sue battaglie per il lavoro, per il pane, per la
democrazia. La protesta viene interrotta solo quando le autorita'
assumono precisi impegni in favore delle poverissime popolazioni
siciliane. Tra i primi a cogliere appieno il valore di un gesto
insolito per il nostro Paese e' Aldo Capitini, con il quale si stabilisce
un dialogo fitto, intenso, durato fino alla scomparsa del filosofo
perugino. Il 10 dicembre dello stesso anno, Danilo Dolci diffonde
una lunga
dichiarazione, invitando tutti a sottoscriverla: "Sento ora
necessario dichiarare", si legge nel volantino, "che se
saro' chiamato per uccidere o collaborare anche indirettamente alla
guerra mi rifiutero': non voglio essere assassino". E' probabilmente
la prima volta che in Italia viene apertamente pubblicizzata l'obiezione
di coscienza.
Le condizioni di vita per centinaia di famiglie sono disperate.
Il titolo di uno dei primi libri di Dolci e' fin troppo esplicito:
Fare presto (e bene) perché si muore. Per far fronte ai casi
di povertà più estrema, viene costruita una casa-asilo
per bambini. L'esperienza si conclude dopo alcuni mesi con un'operazione
di polizia, che pone i sigilli alla struttura e strappa i bambini
agli educatori per trasferirli in istituti pubblici.
Nel gennaio del '56, a poche settimane dalla pubblicazione di Banditi
a Partinico, oltre mille persone danno vita a un imponente sciopero
della fame, volto a denunciare il diffuso e tollerato fenomeno della
pesca di frodo, che priva i pescatori di ogni mezzo di sussistenza.
Sempre del 1956
e' lo sciopero alla rovescia, con centinaia di disoccupati impegnati
a riattivare una strada comunale resa intransitabile dall'incuria
delle amministrazioni locali. La reazione dello Stato e', ancora
una volta, repressiva: una carica delle forze dell'ordine disperde
i manifestanti, mentre gli organizzatori vengono arrestati e tradotti
all'Ucciardone.
Dolci - difeso da Piero Calamandrei - viene scarcerato al termine
di uno storico processo, al quale depongono come testimoni per la
difesa Carlo Levi e Elio Vittorini (1).
Danilo Dolci e' tutt'altro che isolato: nel corso degli anni si
e' progressivamente consolidato il sostegno nazionale e internazionale
intorno alla sua opera. Tra i tanti che in vario modo aderiscono
alle sue battaglie Norberto Bobbio e Ignazio Silone, Cesare Zavattini
e Alberto Moravia, Enzo Sellerio e Lucio Lombardo Radice, Erich
Fromm e Bertrand Russell, Jean Piaget e Aldous Huxley, Jean-Paul
Sartre e Ernst Bloch. In Italia, Svizzera, Germania, Svezia, Gran
Bretagna, Olanda, Norvegia, Francia si costituiscono numerosi gruppi
di sostenitori. Centinaia di giovani si trasferiscono in Sicilia
da tutto il mondo per contribuire a un'imponente opera di riscatto
civile, democratico, economico.
Nel 1958, gli viene attribuito il Premio Lenin per la Pace. Dolci,
pur accettandolo, rilascia una lunga dichiarazione: "Non sono
comunista, non ho ancora visto un metro quadrato delle Repubbliche
Sovietiche. Accetto il Premio e ringrazio profondamente; andrò
a Mosca, se mi danno il passaporto,
per riceverlo. Qualcuno dice: 'Ecco l'utile idiota di turno'; si
e' premuto affinché rifiutassi. Mi si chiede, implicitamente
o esplicitamente, da una parte e dall'altra, una chiarificazione.
(...) Si e' voluto, se non erro, porre in rilievo due fatti che
vanno ben oltre la mia persona ed il nostro gruppo: la validità
delle vie rivoluzionarie nonviolente, accanto alle altre forme di
azione e di lotta, nell'affrontare la complessa realtà; la
continua necessità di un'azione scientifica ed aperta, maieutica
direi, dal basso" (2). Nel maggio successivo, con i soldi del
Premio, si costituisce il Centro Studi e Iniziative per la Piena
Occupazione, con sedi in diversi Comuni dell'Isola, che diventerà
rapidamente uno straordinario strumento al servizio dello sviluppo
di tutta la Sicilia occidentale. Dolci non si atteggia a detentore
di verità, non e' un guru venuto a dispensare ricette, a
insegnare come e cosa pensare. E' convinto che le forze necessarie
al cambiamento si possano trovare nelle persone più avvertite
del luogo; che non possa esistere alcun riscatto che prescinda da
una presa di coscienza dei diretti interessati. Sa quanto sia essenziale,
per la riuscita di un'impresa, che ciascuno la senta propria: i
progetti migliori, sulla carta più efficaci, falliscono se,
calati dall'alto, sono avvertiti estranei, ostili. Per questo il
lavoro di autoanalisi popolare, il metodo maieutico (3), non costituiscono
un dettaglio o, peggio, una scelta eccentrica: sono necessari alla
riuscita di un programma veramente rivoluzionario e nonviolento.
"Un cambiamento", sostiene Dolci, "non avviene senza
forze nuove, ma queste non nascono e non crescono se la gente non
si sveglia a riconoscere i propri interessi e i propri bisogni"
(4).
Proprio sviluppando l'intuizione di un contadino, nel corso delle
riunioni dedicate ad analizzare l'arretratezza economica della regione
e all'individuazione di possibili soluzioni, prende corpo il progetto
per la diga sul fiume Jato. Tecnici esperti, consultati, confermano
che l'idea di edificare un grande bacile per raccogliere la copiosa
pioggia invernale e utilizzarla nei mesi estivi e' tutt'altro che
insensata. La realizzazione richiederà quasi dieci anni di
lotte e mobilitazioni popolari. Questa diga, che ha sottratto alla
mafia il monopolio delle scarse riserve idriche precedentemente
disponibili, ha rivoluzionato la vita di migliaia e migliaia di
cittadini, consentendo nella zona la nascita di numerose cooperative
e una crescita economica assolutamente impensabile prima.
A Franco Marcoaldi che gli chiede se si ritenga un utopista, Dolci
risponde:
"Sono uno che cerca di tradurre l'utopia in progetto. Non mi
domando se e' facile o difficile, ma se e' necessario o no. E quando
una cosa e' necessaria, magari occorreranno molta fatica e molto
tempo, ma sarò realizzata. Così come realizzammo la
diga di Jato, per la semplicissima ragione che la gente di qui voleva
l'acqua" (5). Sin dal suo arrivo in Sicilia, Dolci individua
nella criminalità organizzata un forte ostacolo allo sviluppo.
Grazie a un lavoro attento, continuo, capillare, cresce anno dopo
anno un solidissimo fronte antimafia (e questo, mentre per tanti
rappresentanti dello Stato la mafia neppure esiste). Nel 1965, nel
corso di un'affollata conferenza stampa successiva a una lunga audizione
della Commissione parlamentare antimafia, Dolci denuncia pubblicamente
per collusione con la criminalità organizzata l'allora potentissimo
ministro Bernardo Mattarella, il sottosegretario Calogero Volpe
e numerosi notabili siciliani: oltre cento persone - e molti, tra
loro, contadini - accettano di sottoscrivere, esponendosi direttamente,
testimonianze circostanziate. La storia non e' fatta di ipotesi;
pure sono evidenti le responsabilità di una classe politica
e anche di larghi settori della magistratura che, invece di sostenere
un movimento che avrebbe potuto
anticipare di alcuni decenni l'inizio di una più incisiva
lotta alla mafia, si adoperarono per isolare e spegnere il fenomeno,
fino all'incredibile condanna a due anni e mezzo di reclusione inflitta
a Danilo Dolci e Franco Alasia per il reato di diffamazione (6).
Il 15 gennaio 1968 e' una data drammatica: un violentissimo terremoto
sconvolge la Valle del Belice: il Centro sospende temporaneamente
ogni altra attività per contribuire alle opere di soccorso
delle popolazioni colpite.
Risultano tragicamente evidenti i ritardi, l'improvvisazione e le
omissioni degli interventi ufficiali. Il 15 settembre dello stesso
anno, viene reso pubblico un accurato piano di sviluppo per le zone
terremotate, frutto del lavoro di decine di esperti. Per sostenere
il progetto di Città-territorio
e denunciare la lentezza dell'opera degli organi dello Stato, si
avviano cinquanta giorni di pressione. Il plastico del piano, le
cartine, la documentazione raccolta sono presentati nei Comuni colpiti
dal sisma e discussi con i cittadini.
Il 25 marzo 1970 la prima emittente privata "illegale",
Radio Libera Partinico, lancia un appello disperato: la gente vive
ancora nelle baracche, neppure un edificio e' stato ricostruito,
"la Sicilia muore". Si ripropone un copione già
noto: le forze di polizia fanno irruzione nei locali del Centro,
interrompono le trasmissioni, arrestano i responsabili. Da tutto
il mondo arrivano centinaia di messaggi di solidarietà e
di adesione all'appello di Dolci. "Ogni volta che una catastrofe
colpisce il Sud",
scrive Italo Calvino, "ci si dice: ancora altre popolazioni
dovranno vivere nelle baracche, quanti anni ci resteranno? E' possibile
che un paese come l'Italia che vanta i suoi 'miracoli economici'
lasci senza tetto popolazioni intere? Le catastrofi naturali sono
fatalita'? Non sempre. In molti casi sono prevedibili ed e' grave
colpa non prevenirle. Ma anche quando l'uomo non può nulla
contro di esse, le loro conseguenze sono ben diverse in una situazione
statica e gretta, con un'economia che non pensa che al proprio ristretto
guadagno immediato, e in una situazione in cui tutte le risorse
- economiche, umane, naturali - vengono impegnate per il bene comune.
Per questo a vegliare a Partinico stanotte e' la coscienza dell'Italia,
una coscienza che e' per così poca parte rappresentata dalla
classe dirigente, e che e' amaro privilegio dei poveri"(7).
Continuano, intanto, i riconoscimenti al lavoro di Dolci: mentre
si susseguono ben nove candidature al Premio Nobel per la Pace,
nel 1968 l'Università di Berna gli conferisce la laurea honoris
causa in Pedagogia. Nel 1970 ottiene il Premio Socrate di Stoccolma
"per l'attività in favore della pace e per i contributi
di portata mondiale nel settore dell'educazione". L'anno successivo
l'Università di Copenaghen gli assegna il Premio Sonning
"per il suo contributo alla civilizzazione europea".
A partire dal 1970, quattordici anni dopo la pubblicazione della
prima silloge, vedono la luce le maggiori opere poetiche di Dolci:
Il limone lunare (1970), Non sentite l'odore del fumo? (1971), Poema
umano (1974), Il Dio delle zecche (1976), Creatura di creature (1979),
fino all'ultima raccolta, di poco precedente la sua scomparsa, Se
gli occhi fioriscono (1997). I suoi versi, che Giancarlo Vigorelli,
con felice espressione, definisce "di atavica grazia e di moderna
verità", traggono linfa dalle quotidiane esperienze
di lotta, dal lavoro con gli ultimi, dall'impegno educativo, pervenendo
a esiti lirici altissimi.
Un mese di pressione antifascista promosso dal Centro Studi, attraverso
iniziative realizzate in ogni parte d'Italia, si conclude con una
delle più imponenti manifestazioni pubbliche del dopoguerra:
oltre trecentomila persone giungono a Roma il 28 novembre 1971.
Negli anni Settanta - naturale sviluppo del lavoro precedente -
si approfondisce la ricerca sulla struttura maieutica e sulle sue
possibili applicazioni: Dolci intensifica la collaborazione con
i più importanti educatori mondiali e con l'Unesco: un impegno
che suscita meno clamore rispetto alle prime iniziative, ma non
meno essenziale.
Il nuovo Centro educativo di Mirto, del quale persino la collocazione
geografica era stata discussa nel corso delle usuali riunioni con
la gente del luogo, viene inaugurato nel gennaio del 1975 e può
contare su un gruppo di collaboratori davvero straordinario: Paulo
Freire e Johan Galtung, Ernesto Treccani e Paolo Sylos Labini, Gianni
Rodari e Gastone Canziani, Mario Lodi e Aldo Visalberghi.
Ma oltre che nel Centro di Mirto, che dovrà purtroppo fare
i conti con ostacoli d'ogni tipo opposti dalle istituzioni locali
e nazionali, il nuovo metodo educativo viene messo a punto nel corso
dei sempre più frequenti seminari che Dolci tiene presso
scuole, università , gruppi, associazioni.
Mentre l'attenzione per la sua opera da parte dei mezzi di informazione
italiani va scemando, non accenna a diminuire all'estero: a partire
dal 1982, la Boston University Library comincia a raccogliere in
modo sistematico documentazione riguardante Danilo Dolci e Martin
Luther King: libri, volantini, manoscritti, corrispondenza, fotografie.
Gli inviti di organizzazioni e universita' straniere si moltiplicano.
In India, nel 1989, gli viene attribuito il Premio Gandhi.
Nel 1988, dopo anni di ricerche condotte con centinaia di collaboratori,
esce la Bozza di manifesto "Dal trasmettere al comunicare"
(oggi giunta alla sesta edizione con il titolo Comunicare, legge
della vita, e tradotta in molte lingue): vengono denunciati i danni
derivanti in ogni ambito da rapporti continuativamente unidirezionali,
trasmissivi, violenti, e si propone l'alternativa della comunicazione,
della maieutica reciproca, della nonviolenza; si fa luce su una
serie di frequenti (e tutt'altro che disinteressate) confusioni:
tra potere e dominio, per esempio, o riguardo alla cosiddetta comunicazione
di massa (che, come dimostra Dolci, "non esiste"); si
giunge a osservare come qualsiasi forma di autentico progresso e
l'evoluzione intera non possano prescindere dall'esistenza di interazioni
creative opportunamente valorizzate.
E' un lavoro di ricerca intenso e appassionato, documentato dai
suoi libri più recenti, che impegna Dolci fino all'ultimo
dei suoi giorni, con un'attenzione costante alle conferme che giungono
dal mondo scientifico (si vedano le collaborazioni con Rita Levi
Montalcini, Carlo Rubbia, Giuliano
Toraldo di Francia e Luca Cavalli Sforza) e dai gruppi (laboratori
maieutici) che, in Italia e all'estero, si richiamano alle sue metodologie.
Il 13 maggio 1996, l'Università di Bologna gli conferisce
la laurea honoris causa in Scienze dell'Educazione. Tra il '96 e
il '97, in preparazione di un'iniziativa pubblica di denuncia, Danilo
Dolci comincia a raccogliere documenti sulla base Nato de La Maddalena,
sede di sommergibili nucleari statunitensi, costruita senza alcuna
autorizzazione parlamentare e operante al di fuori di qualsiasi
possibilità di controllo da parte del governo italiano e
degli enti locali interessati: sono impedite persino le verifiche
sul livello di radioattività delle acque circostanti.
Il 30 dicembre 1997, al termine di una dolorosa malattia, che non
l'aveva però fiaccato nello spirito e non gli impediva di
meditare nuove iniziative, Danilo Dolci si spegne, stroncato da
un infarto: tra Partitico e Trappeto, in quella terra di "banditi"
e di "industriali", di contadini e pescatori senza voce,
che quarantacinque anni prima aveva scelto per avviare la sua difficile,
lunga battaglia.
Note
1. La documentazione relativa al processo e' raccolta
in aa. vv., Processo all'articolo 4, Torino, Einaudi, 1956.
2. Dal testo integrale della dichiarazione rilasciata il 16 gennaio
1958, in seguito alla comunicazione ufficiale dell'assegnazione
del Premio Lenin per la Pace, conservata presso l'archivio del
Centro per lo sviluppo creativo "Danilo Dolci" a Partinico.
3. Diversi libri documentano le riunioni promosse e coordinate
da Dolci con contadini, pescatori, bambini. Si vedano, ad esempio,
Inchiesta a Palermo (1956), Spreco (1960), Conversazioni (1962),
ma anche alcuni dei titoli piu' recenti.
4. Si veda l'intervista rilasciata a Massimiliano Tarozzi per
la rivista bimestrale dell'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai
"DuemilaUno", n. 49, marzo-aprile 1995.
5. Da "la Repubblica", 19 luglio 1996.
6. Mite e sorridente, come sempre, Danilo talvolta ricordava il
numero dei processi subiti nel corso della sua vita: ventisei.
7. Il messaggio di Italo Calvino e' riportato in Giacinto Spagnoletti,
Conversazioni con Danilo Dolci, Milano, Mondadori, 1977.
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