Ho partecipato, insieme a molte persone, alla presentazione del
libro fresco di stampa della storica Victoria de Grazia intitolato
con acume L'impero irresistibile che si è tenuta nei
primi giorni di gennaio presso il museo di Storia contemporanea di
Milano. Scoprire che anche il capoluogo lombardo ha un cuore che pulsa
per i temi storici relativi alle Americhe mi ha piacevolmente sorpreso,
anche se si è notata la mancanza di giovani e studenti che,
seppur avvisati, continuano a disertare appuntamenti che non riguardano
il loro tornaconto immediato, oppure esclusivamente il confronto politico
legato all'attualità. Attratto dal tema, ma anche colpito positivamente
dall'interesse del vasto pubblico, ho subito acquistato il volume
della studiosa americana (1). De Grazia, che insegna alla Columbia
University e ha al suo attivo numerosi studi sul fascismo italiano,
è riuscita a comporre un mosaico complesso per tracciare le
origini della cultura dei consumi che, a partire dal primo decennio
del Novecento, è stata diffusa dagli Stati Uniti nel mondo
occidentale seguendo il filo rosso di un impero commerciale privo
di frontiere.
La presentazione del libro da parte di altrettanto autorevoli studiosi
italiani ha concordato con la visione complessiva del volume, cercando
di evidenziare l'evidente frattura tra gli Stati Uniti contemporanei
impegnati in una sanguinosa guerra in Iraq e quelli del primo Novecento
occupati invece parafrasando le parole di un discorso pronunciato
a Detroit dal presidente Woodrow Wilson nel luglio del 1916
nella "conquista del mondo" (2). Una conquista effettuata
non tanto manu militari, bensì con "mezzi pacifici",
intendendo per pacifici dei mezzi che agiscono in un contesto di pace,
ma non certamente meno aggressivi ed egemonizzanti di quelli militari.
L'impero irresistibile non tratta tuttavia del mondo intero, bensì
solo del confronto tra Stati Uniti ed Europa, come il sottotitolo
in inglese America's Advance through Twentieth-Century Europe
tiene a precisare: quindi una riflessione sull'anticipo della
società americana rispetto all'Europa nel Novecento. Ma anticipo
in che cosa, e soprattutto a vantaggio di chi?
L'impero della libertà
Se c'è stato un momento in cui gli Stati Uniti si sono mostrati
in anticipo sui tempi, questo è avvenuto sicuramente all'epoca
dei Padri Fondatori. La Dichiarazione di indipendenza approvata dal
Congresso degli Stati Uniti il 4 luglio 1776 e redatta da Thomas Jefferson
ha costituito una pietra miliare nel liberalismo occidentale con i
suoi richiami a "certi inalienabili diritti fra i quali quelli
alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità"
(3). Viaggiatori europei come il lombardo Luigi Castiglioni si sono
recati all'epoca in America per rendersi conto di questo evidente
anticipo, scoprendo tuttavia che Jefferson non intendeva effettivamente
"tutti gli uomini sono creati uguali", ma solo quelli bianchi
(4). Nell'impero della libertà auspicato da Jefferson durante
la sua presidenza e ideato per il ceto da lui prediletto i
piccoli coltivatori bianchi gli afroamericani non avevano altro
ruolo se non quello di schiavi, nonostante Jefferson avesse una plantation
wife nera Sally Hemings e alcuni figli di colore impegnati
nel lavoro servile nella sua Monticello (5).
Anche dal punto di vista politico le cose non andavano meglio e gli
avversari venivano spazzati via dalle prime forme di spoil system,
letteralmente le spoglie del nemico. Chi non faceva abiura della fede
politica precedente veniva messo da parte senza incarichi e senza
possibilità di sopravvivere nell'arena politica. Solo i sachem,
che rappresentavano le nazioni indiane dell'Ovest, venivano ricevuti
a Washington con grande rispetto e addirittura un'attenzione maggiore
rispetto a quella riservata agli ambasciatori europei, e di questo
il capo della diplomazia inglese negli Stati Uniti ebbe a lamentarsi
(6).
Questo non significava che la nazione americana non dovesse espandersi
verso Ovest a danno delle terre indiane, anche se all'epoca della
presidenza di Jefferson l'esercito non contava che su poche migliaia
di uomini. Sebbene aggressivo, come le spedizioni verso il Pacifico
e nel Sudovest portate a termine tra il 1803 e il 1806 hanno testimoniato,
l'impero della libertà di Jefferson non era militarista e i
conflitti venivano risolti diplomaticamente. Ancora, anche se la fondazione
dell'Accademia militare di West Point risaliva a quegli anni, alla
sua direzione il presidente americano aveva posto un matematico, Jonathan
Williams, che era anche a capo della Military Philosophical Society
che Jefferson aveva affiancato all'accademia militare e per la quale
aveva riadattato un motto latino "Scientia bellis, scientia pacis",
riportato nel sigillo in inglese come "By science in war, peace
is produced" (7).
L'egemonia delle armi e l'ossessione del controllo sociale
Come abbiamo evidenziato anche per la produzione delle scarpe nel
numero scorso di golemindispensabile (link), è stata la Guerra
civile americana, con la necessità imposta di fornire l'equipaggiamento
a un grande numero di soldati, che ha portato le fabbriche del Nord
a produrre con celerità centinaia di migliaia di armi, così
come di uniformi e di calzature, razionalizzando la produzione e introducendo
il sistema delle parti intercambiabili e la standardizzazione dei
pezzi (8). Ma per continuare a produrre un numero elevato di armi
anche dopo la fine della guerra, bisognava allargare il bacino d'utenza
degli armamenti: non solo le altre nazioni in guerra nel mondo intero,
ma anche la stessa società civile americana. Nel 1871 nasceva,
ad opera di due ufficiali dell'esercito dell'Unione, la National Rifle
Association (NRA), con il compito di mantenere la familiarità
delle armi da parte dei cittadini americani anche in tempo di pace.
L'anno successivo lo stato di New York contribuiva a sue spese a creare
un poligono di tiro per i soci della NRA contribuendo con i denari
pubblici ad avviare verso la china del successo un'associazione che
sarebbe diventava una tra le più potenti organizzazioni americane
in grado esercitare una pesante pressione lobbistica sul governo americano
(9).
Questi erano infatti gli anni della presidenza di Ulysses Grant a
cui si deve l'origine stessa dell'ampio uso del termine lobby. L'eroe
della Guerra civile divenuto presidente nel 1869, perseguitato dallo
spirito di Abraham Lincoln e osteggiato dall'onnipresente consorte
per l'abitudine costante di fumare il sigaro che lo avrebbe portato
a combattere questa volta con un cancro alla gola, era solito ricevere
affaristi e politici nella lobby dell'Hotel Willard, nei pressi della
Casa Bianca. L'atrio dell'albergo di Washington contribuì a
creare e consolidare una parola che sarebbe entrata nel dizionario
a significare un "gruppo di persone che sono in grado di influenzare
a proprio vantaggio le decisioni governative". Nel lavoro sotterraneo
per influenzare l'attività del governo americano, le fabbriche
delle armi la facevano da padrone, influenzando le scelte politiche
che avrebbero portato gli Stati Uniti a mantenere un ruolo di "nazione
guerriera". Ma nella lunga fila dei lobbisti, che avevano elevato
l'onnipotenza del profitto sull'etica sociale puritana, si potevano
ritrovare i rappresentati di molte altre industrie che avrebbero contribuito
all'affermazione degli Stati Uniti nel Novecento. Anche in questo
caso possiamo evidenziare il lato oscuro di quello che si delineava
come un "impero irresistibile": il controllo sociale esercitato
sia nel Sud, sia nel Nord degli Stati Uniti da parte
di gruppi nativisti che utilizzavano linciaggi e azioni violente per
affermare il loro status sociale e imporre la legge dell'apartheid.
Nel Sud era il Ku Klux Klan a gestire un controllo che impediva agli
afroamericani di affermarsi. Nel Nord questo ruolo era ricoperto dalla
Black Legion, alter ego del Ku Klux Klan e attiva negli stati industriale
dell'Ohio, Indiana e Michigan (10). Uno dei centri di azione della
Black Legion era Detroit dove operava tra l'altro la Ford Motor Company,
e dove Woodrow Wilson, nel luglio del 1916, aveva pronunciato il celebre
discorso sulla "democrazia degli affari" americana impegnata
nella "conquista del mondo con mezzi pacifici".
Nello stesso giorno in cui tenne il discorso, il presidente americano
visitò il modernissimo stabilimento della Ford di Highland
Park, a bordo di un'autovettura guidata nientemeno che da Henry Ford
in persona. Il celeberrimo industriale americano aveva creato la sua
società che produceva automobili in modo artigianale nel 1903
e l'aveva portata al successo in un decennio grazie alle sue idee
innovative sulla catena di montaggio e sul salario, elevato nel 1914
a cinque dollari al giorno quando il salario medio degli operai nell'industria
automobilistica americana era di due dollari e mezzo: un successo
epocale narrato in un breve libretto, pubblicato nel l922 e tradotto
in un'infinità di lingue, dal titolo La mia vita e la mia opera,
che "funse da Bibbia per Hitler" (11). Alle spalle di questo
successo c'era anche l'attività di un Sociology department
che permise ai manager della Ford Motor Company di entrare nelle vite
private dei dipendenti dell'azienda: non solo veniva monitorato quello
che succedeva nella fabbrica, ma anche nelle singole case dei lavoratori.
I sociologi realizzavano ampie interviste che avevano gli oggetti
più disparati dalle finanze familiari alle questioni
sessuali, dall'uso della lingua inglese nel privato alla pulizia personale
mentre gli operatori cinematografici spesso documentavano le
visite nelle case dei dipendenti, esaltando i comportamenti delle
famiglie più integerrime additate a modello collettivo. Mentre
appesantita dai costi la Ford si decideva a smantellare il famigerato
dipartimento nel 1921, provvedendo alla distruzione di migliaia di
fascicoli riservati, il controllo sociale veniva posto sotto la responsabilità
della società civile americana nel suo insieme, dove la Black
Legion avrebbe continuato la sua attività illegale contro gli
afroamericani e i nuovi immigrati sino al 1936, in pieno New Deal.
Il controllo dell'informazione
Il New Deal di Franklin Delano Roosevelt aveva contribuito a rafforzare
sia il capitalismo americano, sia le strutture politiche democratiche
negli anni in cui in Europa si affermavano i regimi totalitari. Ma
nonostante gli sforzi di Roosevelt e quelli della sua consorte Eleanor,
i lati oscuri dell'impero irresistibile permanevano. I linciaggi continuavano
nel Sud e nel Nord anche se questa volta le istituzioni reagivano
e i suprematisti bianchi iniziavano ad avere vita difficile. Le persecuzioni
diventavano più sotterranee e meno evidenti, mentre una sorta
di razzismo strisciante sostituiva quello palese dell'epoca di Wilson
e cementava le regole dell'apartheid negli stati del Sud. Erano gli
anni in cui si imponeva l'industria della pubblicità utilizzata
da Roosevelt anche in termini politici per "chiarire agli occhi
del mondo la schiacciante superiorità, morale e materiale,
della visione occidentale dell'essere umano e della sua dignità"
(12).
Alla morte di Roosevelt il New Deal cedette il passo al Fair Deal
del successore Harry Truman che fece della ricerca "di un più
elevato tenore di vita" uno dei suoi cavalli di battaglia, contribuendo
a creare un modello americano dove "la libertà dei consumatori
era la più fondamentale di tutte le libertà" (13).
Ma anche in questo caso l'impero irresistibile ha mostrato un lato
oscuro che ha preso il nome di "maccartismo", dal nome del
senatore repubblicano del Wisconsin, Joseph McCarthy, che fu posto
a capo di una sottocommissione per investigare le attività
antiamericane. Anticipato da una serie di leggi federali e statali
che miravano a colpire le attività sovversive, criminalizzando
la propaganda e l'appartenenza a gruppi che rivendicavano una rivoluzione
comunista, il maccartismo portò alla schedatura di milioni
di individui e centinaia di organizzazioni. Era una legislazione da
caccia alle streghe che si inseriva nel progetto politico e culturale
della guerra fredda e che portava il Federal Bureau of Investigation
(FBI) a spostare le sue funzioni dalla lotta contro la criminalità
al controllo politico su singole persone e su gruppi. Ancora, la Central
Intelligence Agency (CIA), istituita nel 1947, si impegnò nel
controllare, coadiuvata dagli uffici postali e doganali, milioni di
lettere e pacchi (14).
Proprio raccontando il maccartismo e mettendo in scena la vicenda
del giornalista Edward Murrow, ma pensando alla contemporaneità,
l'attore e regista George Clooney ci ha riproposto con il film Good
night, and Good Luck la sua versione in bianco e nero di un periodo
in cui le ombre nell'impero irresistibile sono state più ampie
delle luci (15). Il programma della CBS condotto da Murrow, che iniziò
ad andare in onda nel novembre del 1951, si caratterizzò subito
per il suo nonconformismo: immagini in diretta, primi servizi girati
tra i soldati americani impegnati nella guerra in Corea e analisi
di singoli casi emblematici come quello del tenente Milo Radulovich
che incrinò la credibilità di McCarthy mostrando che
i suoi metodi inquisitori oltrepassavano "il confine che separa
l'investigazione dalla persecuzione". Ma la domanda ancora attuale
che si pone Clooney con la voce di Murrow è la seguente: "Di
chi è la colpa? Non tutta sua. Non ha creato lui questa situazione
di paura, lui l'ha solamente sfruttata e con notevole successo. Cassio
aveva ragione: La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle,
ma in noi stessi" (16).
Pensare al maccartismo per riflettere sugli Stati Uniti dopo l'11
settembre 2001, questo è il suggerimento di Clooney. Un suggerimento
che è stato preso alla lettera da un gruppo di ricercatori
della Sonoma State University per riaffermare, questa volta online,
un progetto nato nel 1976 per monitorare i media americani e intitolato
Project Censored. (link a www.projectcensored.org) Ancora una volta
dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre, che hanno mostrato
i servizi di intelligence statunitensi incapaci di prevenire gli attacchi,
nonostante l'intenso lavoro della National Security Agency (NSA) che
è impegnata sin dall'epoca della guerra fredda
nel controllo delle comunicazioni del mondo intero e può contare
su un bilancio annuale di oltre sette miliardi di dollari e un numero
di dipendenti maggiore della CIA e dell'FBI messe insieme (17). «La
libertà d'informazione nella società americana è
in serio pericolo» scriveva Peter Phillips nell'introduzione
al volume che riuniva venticinque storie tra le più censurate
dai media americani all'inizio del XXI secolo e i «notiziari
24 ore su 24 ... sono strettamente collegati a varie fonti d'informazione
governative e delle multinazionali» (18). "Chi influenza
i media?", si chiedono i responsabili di Project Censored. La
risposta è eloquente:
«le pressioni sono esercitate dai pubblicitari, ben consapevoli
del loro ruolo di finanziatori del sistema mediatico; dai proprietari
dei media, che spesso sfruttano i propri canali d'informazione per
deviare, o distogliere, l'attenzione a seconda di altri propri interessi
economici; e dal governo, come è stato evidente specialmente
lo scorso anno, durante il quale l'Amministrazione Bush ha fatto di
tutto per promuovere la propria versione degli eventi e reprimere
il dissenso» (19).
Possiamo forse, a questo punto, rispondere alle domande iniziali
concernenti l'anticipo della società americana rispetto all'Europa
discusso nel volume L'impero irresistibile con il quale abbiamo esordito.
Un anticipo nell'ingerenza nelle vite dei singoli cittadini esercitata
con forme di controllo, con la pubblicità e con la manipolazione
dell'opinione pubblica; un anticipo che è stato però
realizzato a discapito di una società civile, controllata e
schedata, che tuttavia non ha esitato e non esita tuttora a risorgere
per mobilitarsi contro l'impero delle armi e del controllo sociale.
Note
1. Victoria de Grazia, L'impero irresistibile. La
società dei consumi americana alla conquista del mondo, Einaudi,
Torino, 2006.
2. Ibid., p. xiii.
3. Tiziano Bonazzi, a cura di, La Dichiarazione di indipendenza degli
Stati Uniti d'America, Marsilio, Venezia, 1999, p. 69.
4. Luigi Castiglioni, Viaggio negli Stati Uniti dell'America settentrionale,
a cura di Marco Sioli, Selene, Milano, 2006.
5. Si veda nello specifico Rhys Isaac, "Monticello Stories Old
and New", in Jan Ellen Lewis e Peter Onuf, Sally Hemings and
Thomas Jefferson. History, Memory, and Civic Culture, University of
Virginia, Charlottesville, 2000.
6. Marco Sioli, Esplorando la nazione. Alle origini dell'espansionismo
americano, Ombrecorte, Verona, 2005, pp. 66-67.
7. Ibid., p. 179.
8. Bruno Cartosio, Gli Stati Uniti contemporanei, Giunti, Firenze,
2002, p. 11.
9. Una breve storia della National Rifle Association è reperibile
al sito nrahq.org/history.asp.
10. Per quanto riguarda il Ku Klux Klan si veda il volume di William
P. Randel, Ku Klux Klan: un secolo d'infamia, Mursia, Milano, 1966
. Sulla Black Legion si veda invece l'articolo di Peter Amann, "Vigilante
Fascism: The Black Legion as an American Hybrid", Comparative
Studies in Society and History, vol. 25 (1983).
11. Victoria de Grazia, L'impero irresistibile, op. cit., p. 97.
12. Ibid., p. 257.
13. Ibid., p. 369.
14. Sul periodo maccartista si veda il volume, sfortunatamente fuori
stampa e difficile da reperire, di Bruno Cartosio, Anni inquieti.
Società, media, ideologie negli Stati Uniti da Truman a Kennedy,
Editori Riuniti, Roma, 1992.
15. Interessante è il sito ondine dedicato al film: wip.warnerbros.com/
goodnightgoodluck.
16. Ibid., p. 76.
17. Nicky Hager, La NSA, dall'anticomunismo all'antiterrorismo, "Le
Monde diplomatique", novembre 2001, p. 10.
18. Peter Phillips e Project Censored, Censura. Le notizie più
censurate nel 2003, Nuovi Mondi Media, Ozzano dell'Emilia, 2003, p.
14.
19. Janine Jackson, Peter Hart e Rachel Coen, "Come il potere
modella le notizie", in Peter Phillips e Project Censored, Censura,
op. cit., p. 230.