Eccoci qua, che ci piaccia o no, catapultati nel 2005,
dato che il tempo ha alcune caratteristiche in comune
con uno tsunami. Al volgere dell’anno la natura ha messo
sotto scacco l’amministrazione Bush in un modo appropriato,
anche se terribilmente biblico, con un colpo di prelazione
contro i bagnasciuga affollati di ricchi turisti e poveri
contadini allo stesso tempo. E perfino nel bel mezzo
dell’orrore collettivo, ciò che è l’amministrazione
Bush e ciò che noi stiamo indecorosamente diventando
hanno fatto mostra di sè.
Solo un piccolo punto nel vasto bacino dell’Oceano Indiano
"sembra aver ricevuto, in anticipo,
un avvertimento dell’arrivo delle onde – l’isola
apparentemente britannica di Diego Garcia, che in effetti è
una base militare americana, una portaerei stazionata
permanentemente per la guerra in Iraq. Ospita anche
"Camp Justice", uno dei piccoli luoghi di villeggiatura
segreti che l’amministrazione ha costruito, o preso
in appalto, per trattenervi prigionieri “di prestigio”
durante la guerra al terrore.
Il campo, il cui nome sarà stato dato da qualcuno che
doveva essere un fan di Orwell, fa parte di un Triangolo
delle Bermuda di ingiustizia costruito dall’amministrazione
Bush – due sistemi carcerari collegati: uno gestito
dal Pentagono e l’altro dalla CIA, entrambi pensati
per tenere i prigionieri e le pratiche qui perpetrate
lontano dagli occhi indiscreti del pubblico americano
e del suo sistema giudiziario; entrambi, come si sta
scoprendo adesso, collegati a quella perla che è Guantanamo
(o Gitmo per gli appassionati ) – un macabro campo per
prigionieri costruito in una vicinissima zona di Cuba,
controllato dagli Usa e ancora - o almeno così speravano
gli ufficiali di Bush fino a quando la corte Suprema
non ha altrimenti disposto l’anno scorso – fuori dalla
portata dei tribunali americani.
Nelle basi militari come quella di Diego Garcia e in
particolari prigioni militari – o controllate dalla
CIA - come Guantanamo, la “guerra al terrorismo” è stata
portata alla ribalta per i metodi con cui gli ufficiali
dei servizi segreti americani hanno cercato di “spezzare”
qualsiasi prigioniero fosse qui trattenuto. Sia che
fosse a Guantanamo, ad Abu Grahib in Iraq, sulla base
aerea di Bagram in Afghanistan, sulle navi della marina
mmericana , o in appalto alle galere delle nazioni alleate
dove durante gli interrogatori si pratica la tortura,
questo variegato e sempre crescente mini-gulag non è
mai stato destinato a essere un sistema di detenzione
criminale – da qui deriva la mancanza di imputazioni,
e di processi di alcun tipo, ovunque nell’impero.
Doveva essere un’eterna operazione di holding per la
“Quarta Guerra Mondiale”, la guerra a seguito della
Guerra Fredda, che i devoti neocon si aspettavano durasse
altrettanto. Ora, secondo l’ultima relazione fatta da Dana Priest
del Washington Post, l’amministrazione
sta seriamente considerando di costituire una serie
di ratifiche legali post-penali capaci di punire con
l’ergastolo al di là delle imputazioni e fino alla fine
dei tempi.
Isola del diavolo, USA
C’è qualcosa, suppongo, che odia i segreti– e così,
alla fine dell’anno di Abu Grahib, sono saltate fuori
e finite sui giornali sempre più notizie riguardo al
mondo segreto delle torture americane (generalmente
definite dalla stampa “abusi”), in gran parte grazie
ad alcune soffiate provenienti da fonti anonime, ma
senza dubbio furibonde, all’interno della “comunità”
militare e dei servizi segreti.
Per esempio, a dicembre, abbiamo saputo da Dana Priest e Scott Higham del Washington
Post, che hanno realizzato alcuni tra i migliori
reportage dell’informazione mainstream, che nel cuore
più profondo del campo prigionieri di Guantanamo c’era
un’ala super-segreta della CIA, costruita nell’ultimo
anno, per prigionieri di prestigio che in precedenza
erano stati trasportati in lungo e in largo in tutto
il mondo, “una struttura detentiva per prigionieri importanti
di al Qaeda che non sono mai stati menzionati in pubblico”.
Consideriamoli menzionati. E come sono stati passati
per tutte le aree detentive della CIA sul pianeta? Bene,
alla fine dell’anno Priest ha rivelato che la CIA
ha una propria arma aeronautica, forse formata da un
solo jet, per trasportare questi prigionieri peripatetici
intorno al pianeta – un turbojet Gulfstream V, il modello
preferito dai direttori generali e dalle celebrità [che]
… fin dal 2001… è stato visto in aeroporti militari
dal Pakistan all’Indonesia, alla Giordania, talvolta
mentre imbarcava passeggeri incappucciati e ammanettati.
“E’ registrato a nome di una società fittizia comandata
e diretta da uomini fittizi e ha il “permesso di usare
i campi d’atterraggio statunitensi in tutto il mondo”.
Un elenco dei luoghi in cui è stato avvistato offre
una mappa suggestiva, anche se parecchio incompleta,
degli oscuri sistemi di detenzione segreta: “Dall’ottobre
2001 l’aeroplano è atterrato ad Islamabad, Karachi,
Riyadh in Arabia Saudita, Dubai, Tashkent in Uzbekistan,
Baghdad, Kuwait City, Baku in Azerbaijan, e Rabat in
Marocco. Si è fermato spesso nell’aeroporto Internazionale
di Dulles, in quello militare di Amman in Giordania
e negli aeroporti di Francoforte in Germania, di Glasgow
in Scozia e di Larnaca a Cipro".
Egitto e Thailandia, per esempio, mancano dalla lista,
sebbene sia ragionevole credere che alcuni detenuti
siano stati trattenuti dalla CIA nelle prigioni dei
due paesi in quanto parte del programma di "consegna straordinaria" - un eufemismo
distorto si riferiscce alla politica, che risale agli
anni di Clinton, ma che ha davvero trovato il ritmo
giusto dopo l’11 settembre, in virtù della quale è stata
appaltata la tortura dei prigionieri a paesi in passato
hanno brillato per azioni di questo tipo.
Nel frattempo, verso la fine dell’anno, l’American Civil
Liberties Union, appellandosi al Freedom of Information
Act (che l’amministrazione Bush ha fortemente tentato
di limitare) ha ficcato il naso in una serie
di sbalorditive
email e di note interne di agenti dell’FBI, turbati e arrabbiati,
che erano stati presenti agli interrogatori a Guantanamo.
Scrivendo ai loro superiori, protestavano per la natura
dei metodi “umani” che gli agenti militari usavano a
Guantanamo. (Per inciso, non è curioso che sia stata
la ACLU, e non i media, a fare tutto il lavoro
necessario per tirare fuori questi documenti?)
Quando l'ACLU iniziò a occuparsi di Guantanamo, quello
che inizialmente aveva tra le mani erano perlopiù lamentele
degli ex prigionieri, molte delle quali, nonostante
fossero fedeli alla realtà, vennero facilmente contestate.
Ora l’FBI ha inchiodato il governo riguardo a quanto
accaduto sulla nostra Isola del diavolo, malgrado infiniti dinieghi.
Questi documenti sono un’indicazione chiara che la tortura,
i maltrattamenti e gli abusi nelle prigioni, nelle aree
detentive, nei campi militari e nelle stanze per interrogatori
controllati dall’America si aggiungono ad un’altra impressionante
sfilza di contravvenzioni alla Convenzione di Ginevra (“A
questo scopo, sono e rimangono vietate, in ogni tempo
e luogo, nei confronti delle persone sopra indicate:(a)le
violenze contro la vita e l’integrità fisica, specialmente
l’assassinio in tutte le sue forme, le mutilazioni,
i trattamenti crudeli, le torture e i supplizi; (b)
la cattura di ostaggi; (c) gli oltraggi alla dignità
personale, specialmente i trattamenti umilianti e degradanti…)
e che, mutuando una frase utilizzata per la prima volta
poco tempo fa in un recente titolo dell’editoriale del
Washington Post , “i crimini di guerra” sono stati
commessi di routine fuori dall’impero.
Ricordiamo per un momento cosa ha dovuto dire il presidente Bush,
in una conferenza stampa lo scorso giugno, riguardo
alle accuse di tortura: “Guardi, lo ripeto ancora una
volta. Forse riuscirò a essere più chiaro. Le istruzioni
sono state date alla nostra gente in conformità alla
legge. Questo dovrebbe confortarvi. Siamo una nazione
di legge. Aderiamo alle leggi. Abbiamo leggi sui libri.
Dovreste guardarle. E questo dovrebbe tranquillizzarvi.
Queste sono state le istruzioni che ho dato al governo.”
“Una nazione di legge” e che dovrebbe tranquillizzarci.
Gli Stati Uniti, ovviamente, hanno firmato la Convenzione
di Ginevra e, in quanto firmatari, sono pienamente vincolati
a essa poichè, secondo l’articolo 6 della Costituzione
americana, “Tutti i trattati ratificati, o che dovranno
essere ratificati, sotto l’Autorità degli Stati Uniti,
dovranno essere la Legge Suprema del Paese.” Meglio
di così! E questo è vero, e non importa per quante volte
il nostro procuratore generale designato (il nuovo
ministro della giustizia, Alberto Gonzales, ndr)
faccia riferimento a una serie di documenti legali creati
per dare all’amministrazione la possibilità di torturare
piacimento e alla Convenzione di Ginevra, definendola
un documento“d’altri tempi”.
Fatevi in un giro tra le altre recenti rivelazioni riguardo
alle torture, inclusa la protesta di un prigioniero britannico a Guantanamo,
per esempio, che afferma di essere stato sottoposto
a “lo ‘strappado’, una tecnica comune nelle dittature
latinoamericane in cui un prigioniero viene lasciato
sospeso a una sbarra con le manette finchè queste non
gli fanno un taglio profondo ai polsi” e finirete in
un menu alla Grand Guignol* di tecniche di interrogatorio
A loro volta queste si aggiungono a qualcosa di simile
a un autoritratto che l’amministrazione Bush fa di sé
per il resto del mondo.
Una elenco parziale dei metodi di tortura riportati
di recente (o riportati di nuovo) potrebbe includere:
detenuti incatenati mani e piedi
al pavimento in posizione fetale per più di 24 ore senza
cibo e acqua e lasciati stesi sulle loro feci; detenuti
incappucciati percossi e presi a calci; fatti sfilare
nudi intorno ad un cortile mentre vengono scattate loro
delle fotografie; lasciati a temperature estremamente
calde o fredde per lunghi periodi, avvolti in una bandiera
israeliana con sottofondo di musica rap ad altissimo
volume e luci stroboscopiche. O forse possono venire
strappate loro le unghie, infilate sigarette accese nelle orecchie.
Possono aver subìto la privazione del sonno, lo strangolamento
parziale, minacce di morte durante gli interrogatori,
l’uso di cani per obbligarli ad urinare, cavi di un trasformatore elettrico
legati alle spalle affinchè il detenuto “danzi come
fosse scioccato”; finti annegamenti detti "waterboarding";
finte esecuzioni di giovani iracheni;
gravi ustioni alle mani, perché coperte d’alcool e incendiate,
pistole puntate alla testa del prigioniero mentre un
marine scatta delle foto, finte (e vere) aggressioni
sessuali e sodomizzazioni; colpi coi calci dei fucili, elettroshock
e immersioni in acqua fredda, pestaggi a morte. Questi
ed altri crimini contro l’umanità hanno avuto luogo
da Guantanamo all’Iraq, dall’Afghanistan fino alle prigioni
segrete della CIA nel mondo.
Una volta che togli certi tipi di restrizioni, una volta
che apri certe possibilità, queste tendono a trasformarsi
in azioni a una velocità sconcertante e quindi a moltiplicarsi
come fossero virus informatici. In mare aperto e lontano
da cas, la tortura pare svilupparsi, come modus
vivendi, con una rapidità sorprendente. Inizia
dai punti più alti con un senso di impunità, e presto
infetta gli angoli e i recessi più distanti, gli avamposti
più lontani, le polveriere e le celle di detenzione
di paesi lontani come l’Afghanistan. Si muove come fosse
argento vivo fino a quelle “mele marce” che prendono
posto nel turno di notte scattando foto digitali per
i futuri screen-saver nelle Abu Grahib del mondo. E’
già diventato un modo di vivere americano ed, essendo
iniziato a casa, ritornerà di certo in madrepatria.
Prendiamo solo un piccolo esempio di come possano essere
diffuse e comuni tali pratiche: durante il recente assalto
a Falluja le truppe americane si sono imbattute in Mohammad
al-Jundi, l’autista siriano dei due giornalisti francesi
sequestrati (e poi rilasciati). Questo avvenimento fu
presentato dai nostri notiziari come una piccola liberazione
di un prigioniero in mano ai terroristi. Quale pensate
sia stata la prima cosa che ha fatto questo ex autista
quando è stato liberato? Secondo la Agence France-Presse, ha querelanto
i suoi liberatori americani per torture e maltrattamenti.
Il suo avvocato francese Jacques Verges ha detto che
"dopo essere stato trovato dalle truppe americane, al-Jundi
è stato portato in manette in una base militare dove
è stato picchiato e preso a calci". Verge ha detto,
inoltre, che "al-Jundi ha affermato di essere stato
terrorizzato per tre volte con finte esecuzioni e torturato
con l’elettroshock". Ehm. Vita di frontiera.
Militarismo come religione
La questione è, naturalmente, la responsabilità. Su
cosa si basa esattamente? Tra le rivelazioni più impressionanti
(e meno riportate dalla stampa) della ACLU c’è un’unica e-mail dell’FBI inviata
da Guantanamo ad alcuni ufficiali superiori dell’FBI
negli Stati Uniti che “fa 11 volte riferimento ad un
ordine esecutivo ‘firmato dal Presidente Bush’ che autorizzava
questi metodi di interrogatorio abusivo… che permetteva
interrogatori militari in Iraq per mettere i detenuti
in una condizione di stress doloroso, imponeva la privazione
dei sensi attraverso l’uso di cappucci, li intimoriva
con i cani e con altri metodi coercitivi”.
Altre e-mail legano il Segretario alla Difesa Donald
Rumsfeld e il Sottosegretario alla Difesa Paul Wolfowitz
ai metodi estremi utilizzati a Guantanamo. (Notate a
proposito che, mentre la nostra stampa generalmente
non usa la parola “tortura” quando descrive le azioni
compiute a Guantanamo o altrove, gli agenti dell’FBI
non esitano a farlo)
Se dunque c’è stato un ordine – la Casa Bianca lo nega,
ma a questo punto non significa niente– c’è stato sicuramente
anche una diffusa sensazione di potere tra coloro che
hanno compiuti gli interrogatori, le torture, i maltrattamenti
a Guantanamo.
Ma mi sto autoscavalcando. Stavo parlando della straordinaria
isola di Diego Garcia quando sono finito a parlare del
lato oscuro dell’impero. Sappiamo solo ciò che ci dicono
i militari – niente danni – riguardo gli effetti dello
tsunami su questa isola davvero poco elevata, solo una
media di 4 piedi sul livello del mare, ma non è così
strano. L’isola è stata un’area di black-out, una zona
di silenzio nell’Oceano Indiano fin da quando, per fare
un favore a noi Yankee, gli inglesi hanno spostato tutti gli
abitanti dell’isola, in miseria e povertà, sull’isola
Mauritius, sgombrando tutto per noi.
Com’è normale consuetudine, qualcuno sul web ha immediatamente
concluso che c’era qualcosa di profondamente cospirativo
riguardo il fatto che solo l'isola di Diego Garcia avesse
ricevuto immediatamente la notizia dello tsunami . Ma
la ragione è semplice: diversamente dai governi dell’Asia
meridionale, il Pentagono aveva accordi con alcuni reti
scientifiche di allerta immediata, così come è collegata
con tutto ciò che conta su questo pianeta.
Il Pentagono diventa sempre più come quella famosa
creazione della fantascienza degli anni ’50, il Blob; una forma di vita aliena
capace di assorbire qualunque cosa attraversi il suo
cammino. Ha inghiottito, per esempio, molte delle funzioni
del Dipartimento di Stato e, avendo diviso il globo
in 5 zone e truppe militari (l’ultimo dei quali è –gulp!—Northcom,
che significa noi americani), e hanno fatto lo stesso
con i cieli (Spacecom), i suoi comandanti adesso girano
il mondo come fossero plenipotenziari planetari.
Qui, per esempio, riportiamo come il giornalista del
Washington Post
David Ignatius ha descritto l' innario da processione
del nostro ultimo comandante del Centcom:
"Il Gen. John Abizaid probabilmente comanda la più
potente forza militare della storia. Le truppe del suo
Comando Centrale sono schierate attraverso la frastagliata
mezzaluna del Medio Oriente, dall’Egitto al Pakistan,
in una schiacciante proiezione del potere statunitense.
Viaggia col suo personale mini-governo: un alto funzionario
del Dipartimento di Stato per gestire la diplomazia;
un ufficiale maggiore della CIA per sovrintendere ai
servizi segreti; un seguito di generali e ammiragli
per dirigere le operazioni e la logistica. Se c’è un
moderno Imperium Americanum, Abizaid ne è il generale
maggiore."
Davvero. I militari sono diventati non solo la nostra
forza di guerra e di occupazione, ma la nostra principale
risorsa per far “nascere una nazione”, la nostra forza
diplomatica (ora che le relazioni da militare a militare
sono divenute l’essenza della politica estera), la preponderante
forza dei servizi segreti, un considerevole equipaggiamento
di propaganda (o di diplomazia pubblica, se volete chiamarla
così), il nostro ministero centrale per la ricerca avanzata
e lo sviluppo scientifici, l’unica parte del governo seriamente
preparata ad un mondo soffocato dal riscaldamento
globale e la nostra salvezza planetaria– per elencare
solo alcuni dei suoi ruoli. E molti altri devono ancora
arrivare .
Prendiamo, per esempio, i servizi segreti. Quel jet
della CIA potrebbe sembrare stravagante, ma, in realtà
è una pallida ombra della CIA aerotrasportata dell’era
del Vietnam, quando gestiva sotto copertura una linea
aerea di grande scala, la Air America. Il Pentagono
adesso controlla circa l’80% dei 40 e più miliardi di
dollari della nazione, stanziati per i servizi segreti
ed è chiaramente molto più avida.
Forse il più curioso resoconto della stagione pre-natalizia
è stato un pezzo in prima pagina sul New York Times
di Douglas Jehl and Eric Schmitt (Il Pentagono cerca di espandere il
suo ruolo nella Intelligence-Collecting). L'articolo
parlava di un piano messo in piedi dall’ora infame fondamentalista
cristiano Sergente Generale, William G. Boykin ("George Bush non è stato eletto
dalla maggioranza dei votanti negli Stati Uniti, ma
è stato designato da Dio.”), che dà una bella torsione
al concetto di "intelligence gathering":
"Tra le idee citate dagli ufficiali del Dipartimento
della Difesa c’è quella di ‘combattere per le informazioni’
o di iniziare operazioni di combattimento principalmente
per ottenere informazioni. La proposta richiede anche
una maggiore espansione della raccolta di informazioni
'umane', cioè informazioni raccolte da spie piuttosto
che tramite mezzi tecnologici, sia all’interno dei servizi
militari che di quelli della Difesa, includendo più
missioni il cui scopo sia quello di acquisire informazioni
specifiche tra coloro che fanno politica."
Combattere per [riempite voi lo spazio]. Ciò riassume
la nostra era Bush. Siamo una nazione il cui volto pubblico
– in qualunque modo possiamo ancora pensarlo– non è
più civile, non solo in Iraq ma in tutto il mondo. Essenzialmente
perché, se si potesse dire che la gente di Bush ha una
religione, forse non sarebbe un cristianesimo fondamentalista
quanto un profondo e costante credere nell’abilità di
un superpotere militarizzato che impone le sue vedute
e i suoi desideri sul mondo soltanto attraverso la forza
militare.
Il militarismo in America è stato da sempre una strana
creatura, poiché alla nostra società è mancata la maggior
parte dei normali simboli di uno stato militarizzato.
Ma c'è una creatura post-11 settembre perfino più strana.
Dopo tutto i militaristi che guidano la politica sono
un gruppo di uomini tra i quali quasi nessuno è mai
stato nelle forze armate (e nemmeno ha mai prestato
servizio in guerra) e molte delle loro linee politiche
sono state criticate persino dagli onorevoli (e inorriditi)
ufficiali militari e dei servizi segreti che riconoscono
la follia, la stupidità e l’illegalità quando la vedono
e non hanno interesse nel vedere i loro nomi o i loro
servizi trascinati nel fango imperiale. (Da qui tutte
le fughe di notizie per la stampa.)
L’amministrazione Bush ha reso chiaro il suo approccio
nel National Security Strategy of the
United States, un documento chiave rilasciato nel
2002, così come in vari discorsi presidenziali al tempo.
In questo documento l'ammnistrazione palesa ed enfatizza
il suo sostegno non ad una guerra di prelazione, ma
“preventiva”, il suo intenso desiderio di fare tutto
a livello internazionale ma in autonomia (nessun "global
test"); l’importanza di mantenere un eterno dominio
militare americano, contro qualsiasi futura combinazione
di poteri concepibile, in un mondo altrimenti privo
di un superpotere e l'insistenza nel portare avanti
la forza come principio fondamentale. Da queste posizioni
una concetto come quello della tortura, che dopo tutto
è forza senza limiti in una cella da interrogatorio,
deriva naturalmente. E’ questo l'atteggiamento collettivo
che è stato messo in pratica l’11 settembre 2001 e che,
da allora, ha determinato quasi ogni atto dell’amministrazione.
Notate, per esempio, la risposta dell’amministrazione
al catastrofico tsunami di Sumatra. Sebbene fin dalle
prime ore l’evento fosse visibilmente apocalittico e
il conto dei corpi fosse già destinato a essere astronomico,
il Presidente ha passato tre giorni in vacanza a tagliare
erba nel suo ranch di Crawford in piacevole silenzio
(così come il suo partner Tony Blair ha continuato le
vacanze nell’assolato Egitto). Dopo tutto le perdite
non erano americane; il terrorismo non c’entrava; e
non era successo a New York City, ma in paesi musulmani,
indù e buddisti. E le minuscole quantità di aiuti sono
state annunciate da una figura amministrativa di secondo
piano in un momento in cui, come Juan Cole ha fatto
notare sul suo sito Informed Comment , si stava spendendo
con insuccesso un abbagliante miliardo di dollari a
settimana per imporre il volere americano su un recalcitrante
Iraq.
Quando le critiche e l’imbarazzo sono diventati tropp
evidenti – e viene fuori che persino questo Presidente
è soggetto ai "global test" - George è emerso dall’ibernazione
per elogiare la generosità americana (“siamo una nazione
davvero generosa e d’animo gentile”) e per annunciare
che avrebbe preso avvio una straordinaria opera di soccorso
guidata da… non sorprendetevi adesso… dal Pentagono.
(“Stiamo inviando nell’area un'unità dei marines, la
portaerei Abraham Lincoln, e un battaglione della marina
per aiutare con operazioni di soccorso.”). Il semplice
concetto di un’operazione di soccorso civile naturalmente
non gli è mai passato in mente, eccetto – per un’amministrazione
intenta a spogliare il governo civile del suo ruolo
nella società – in termini di carità privata per la
quale due ex presidenti si mobiliteranno in seguito.
Allora ignoravamo che i vari gruppi di soccorso (incluse
le Nazioni Unite), civili per natura, con un’ampia esperienza
in situazioni come quella, avevano mandato Hurricane
Jeb e il nostro sempre più pugnace Segretario di Stato
uscente per fare una stima americana dei bisogni dell’Asia.
(L’amministrazione Bush, tra parentesi, non è stata
la sola ad adeguarsi al personaggio Come Bill Berkowitz, l'autorevole pubblicista
del sito Working for Change ha commentato,
le organizzazioni fondamentaliste cristiane come Family
Research Council, Christian Coalition, Focus on the
Family e Concerned Women for America, alla maniera del
presidente, hanno sofferto di un istantaneo “deficit
di compassione”, coi loro siti internet rimasti per
giorni 'senza tsunami'; mentre Doug Ireland, il cui blog tanto
provocatorio quanto divertente dovrebbe essere una fermata
obbligatoria per chiunque passi per il Web, mi ha fatto
notare che il sito della Westboro Baptist Church stava
già dichiarando lo tsunami la risposta di Dio ai gay
svedesi in vacanza. “Ringraziamo Dio per gli tsunami
- e per i 5000 morti svedesi! Dio sta ridendo, sta canzonando
e beffandosi degli svedesi e della Svezia, perfino se
si affliggono e piangono i per i loro morti!"
Niente di tutto questo è esattamente sorprendente. Quando
un’amministrazione impegnata in una forma di isolazionismo
imperiale armato (una bizzarra inversione della vecchia
tradizione isolazionista del Partito di Taft, adesso
sposata ai sogni imperiali e guidata in profondità nel
cuore del mondo) e posseduta dll’idea di dominare il
pianeta con atti di forza, è quasi destinata comportarsi
in maniera tanto prevedibile.
Levarsi i guanti
Mentre reportage su reportage – e io riesco a stento
a seguirli tutti, figuriamoci a riepilogarli— hanno
condotto la tortura sempre più in profondità nella vita
ordinaria dell’impero, sappiamo anche sempre più cose
riguardo acome e dove è iniziato tutto questo; riguardo,
potreste dire, al momento della creazione.
C ome dimostrano le dimostrazioni di forza dell’era
Clinton, o i piani neoconservatori disposti negli anni
'90 per buttare giù Saddam Hussein, o l’istituzione
di uno stato di sicurezza nazionale nei primi anni della
Guerra fredda, o - come possono attestare ex prigionieri latinoamericani
dagli anni '60 agli '80- i metodi di tortura impiegati o insegnati
dalla CIA o dai militari statunitensi, molto di quello
che è accaduto dopo l’11 settembre 2001 ha un bel po’
di storia alle spalle.
L’amministrazione Bush non ha affatto creato il nostro
mondo americano dal nulla. Ma certamente ha accelerato
la tendenza al militarismo, ha portato la tortura fuori
dallo sgabuzzino – rendendola qualcosa di molto vicino
alla polizia di stato ufficiale – ha iniziato a costruire
un gulag globale in scala ridotta per intonarvisi, ha
mescolato gli estremi dell’espressione politica e religiosa
americana in modi nuovi, e ha fondato ciò che può essere
chiamata una Patria Nazionale di Insicurezza in corso.
Ognuno di noi ha una personalità o un carattere sviluppato
durante tutta la vita che si rivela in modi ragionevolmente
prevedibili sotto pressione; così, si può dire, fa un’amministrazione.
Gli assalti dell’11 settembre erano un momento di pressione.
Si può guardare a quel giorno e alle settimane che seguirono
come ad una sorta di test di Rorschach per le amministrazioni.
Ciò che ha istantaneamente galleggiato sulla superficie
del cervello collettivo di Bush, sotto la pressione
(e le possibilità di sviluppo) di quel momento avrebbe
di fatto definito gli anni a venire; e potrei dire che
due cose più di tutto sono venute a galla.
La prima è stata ovviamente l’Iraq – l’impulso di buttare
giù il regime di Saddam Hussein e di ricostruire con
la forza il Medio Oriente lungo linee che i neocon hanno
a lungo sognato; la seconda, nello spirito di Giano,
il bifronte dio romano della guerra, è un impulso duplice:
elevare il presidente al rango di leader del tempo di
guerra, spogliandolo di tutte le soggezioni e restrizioni,
domestiche o internazionali, e renderlo libero di ordinare
atti precedentemente ritenuti atroci. La libertà dell’esecutivo
di ordinare le torture potrebbe essere, dopotutto, l’ultima
prova della libertà che ha l’amministrazione di fare
qualsiasi cosa.
Ciò ci aiuta a spiegare, almeno in parte, ciò che William
Pfaff, articolista per l’International Herald Tribune ha
di recente definito “ l’aspetto più impressionante di
questa guerra al terrorismo”, un “entusiasmo per la
tortura” tra i più alti ufficiali del paese, tale da
renderlo parte della politica pubblica. Dopo tutto,
mentre Guantanamo era stata progettata per essere fuori
della portata della legge, ciò che accadde di lì in
avanti, alla luce del sole o meno, fu un’intensa creazione
pubblica gestita con orgoglio dall’amministrazione.
Riguardo all’Iraq sappiamo che, secondo alcune appunti
presi dai suoi associati (come la CBS ha riferito un anno dopo),
“neanche cinque ore dopo che il volo 77 dell’American
Airlines è piombato sul Pentagono, il Segretario per
la Difesa Donald H. Rumsfeld diceva ai suoi aiutanti
di campo di presentarsi con piani di attacco contro
l’Iraq”, anche se era già sicuro che fosse stata
che al-Qaeda a lanciare l'attacco. (“ Andateci pesante",
riportano gli appunti. "Spazzate via tutto. Cose che
c’entrano e non c’entrano”)
In quel momento il Pentagono stava ancora fumando. Più tardi quello stesso giorno,
Richard Clarke, l’esperto di antiterrorismoche aveva
partecipato a molti incontri chiave, disse “Rumsfeld
ha detto che dobbiamo bombardare l’Iraq… E noi tutti
abbiamo detto… no, no. Al-Qaeda è in Afghanistan. Dobbiamo
bombardare l’Afghanistan. E Rumsfeld ha detto che non
ci sono dei buoni obiettivi in Afghanistan. E che ci
sono tanti buoni obiettivi in Iraq”. Il Presidente di
ritorno alla Casa Bianca più tardi quel giorno, “mi
trascinò in una stanza”, ricordò Clarke, “con un paio
di altre persone, chiuse la porta e disse: “Voglio che
scopriate se l’Iraq ha fatto questo”. Non ha mai detto
‘inventatelo’ Ma l’intera conversazione non mi lasciò
assolutamente nessun dubbio sul fatto che George Bush
volesse un rapporto che diceva che l’Iraq aveva fatto
questo."
A metà 2003, l’attendibile Jim Lobe of Inter Press Service
scriveva:
"Sembra sempre più chiaro che che gli ufficiali
e i loro alleati esterni all’amministrazione intendevano
usare gli attacchi terroristici dell’ 11 settembre 2001
come un pretesto per muovere guerra all’Iraq entro poche
ore dagli attacchi stessi. All’interno dell’amministrazione
i principali sembravano aver incluso il capo del Pentagono
Donald Rumsfeld, il Segretario Delegato alla Difesa
Paul Wolfowitz, il Vicepresidente Dick Cheney, e il
suo consigliere nazionale per la sicurezza, I. Lewis
Libby, oltre ad altri membri del Consiglio Nazionale
per la Sicurezza e del Dipartimento di Stato."
Solo 9 giorni dopo l’11 settembre, il numero tre della Difesa, Douglas
Feith suggerì di "colpire i terroristi fuori dal Medio
Oriente nell’offensiva iniziale, selezionando forse
deliberatamente un obiettivo non connesso direttamente
ad al Qaeda come l’Iraq." E due settimane dopo gli attacchi,
il Sottosegretario alla Difesa Paul Wolfowitz stava
già implicitamente additando l’Iraq di Saddam Hussein
prima di un incontro dei ministri della NATO e il gioco,
come si suol dire, era già pubblicamente in moto.
Nel frattempo, come si è saputo solo di recente grazie
a Michael Isikoff del Newsweek,
dopo due settimane dall’11 settembre l’avvocato del
Dipartimento di Giustizia John Yoo stava già scrivendo
una nota interna segreta all’assistente del consigliere
legale della Casa Bianca Alberto Gonzalez, intitolato
"L’autorità costituzionale del Presidente
deve condurre operazioni militari contro i terroristi
e contro le nazioni che li sostengono," che suggeriva
una sconcertante nuova interpretazione della portata
del potere presidenziale: “Nell’esercizio del suo potere
di usare la forza militare ‘ le decisioni del presidente
dipendono da lui e non sono riesaminabili.’”
Questa nota interna, come spiega Isikoff, prepara una
linea di discussione riguardo agli ampi poteri presidenziali
in tempo di guerra che si ripeterebbe ancora in una
serie di note interne segrete alla Casa Bianca riguardo
alle decisioni controverse nella guerra al terrorismo.
Gli argomenti proposti da Yoo, un prolifico conservatore
che da allora ha lasciato il Dipartimento di Giustizia,
raggiungensero il loro apice quando, quasi un anno dopo,
in un’altra nota interna scritta dal collega Jay Bybee,
l’ufficio del Consiglio Legale concluse che i poteri
del presidente sono così estesi che lui e i suoi delegati
non sono soggetti alle leggi del Congresso o ai trattati
internazionali che vietano la tortura durante gli interrogatori
dei detenuti”.
Il sentiero della tortura era stato già ben lastricato
al tempo in cui, nel luglio 2002, Gonzales e i suoi colleghi si riunirono
in un ufficio della Casa Bianca per prendere in
considerazione le tecniche di tortura della CIA e per
trovare loro un fondamento di “legalità”. A quel tempo
Gonzales aveva già creato un’intera nuova categoria,
il “combattente nemico”, ideata per scavalcare le Convenzioni
di Ginevra e aveva gettato le fondamenta “legali” per
prendere questi combattenti fuori categoria e metterli
dentro Guantanamo, dove le convenzioni di ogni sorta
potevano essere adeguatamente ignorate. Quel luglio,
secondo Isikoff, la sua preoccupazione principale era:
“ ‘Ci stiamo portando avanti abbastanza su questo?’
… ‘Portarsi avanti’ è diventato un ritornello per l’approccio
offensivo dell’amministrazione alla guerra al terrorismo."
In breve, ecco come Pfaff pone la questione :
"Proposte per autorizzare le torture circolavano
molto prima che ci fosse qualcuno da torturare. Già
alcuni giorni dopo gli attacchi dell’11 settembre l’amministrazione
rese noto che gli Stati Uniti non erano più legati a
trattati internazionali o alle legge americana e che
aveva stabilito degli standard militari statunitensi,
riguardo alle torture e al trattamento dei prigionieri.
Alla fine del 2001 il Dipartimento di Giustizia ha abbozzato
una nota interna su come proteggere gli ufficiali militari
e quelli dei servizi segreti da un’eventuale persecuzione
da parte della legge americana per il trattamento dei
prigionieri afgani e degli altri. E’ difficile evitare
la conclusione che l’amministrazione Bush non stia torturando
i prigionieri perché è utile, ma per il suo simbolismo.
Originariamente questa doveva essere una forma di ciò
che in seguito, con l’attacco all’Iraq, sarebbe stato
chiamati ‘shock e terrore’. Doveva essere un’intimidazione.
Faremo queste cose terribili per dimostrare che niente
ci fermerà dal conquistare i nostri nemici. Siamo indifferenti
all’opinione del mondo. Non ci fermeremo davanti a niente."
Ottenere informazioni è stata una faccenda sempre secondaria
ai livelli più alti rispetto alla libertà del Presidente
da tutte le costrizioni. In qualità di confidente del
presidente, Gonzales è stato certamente in stretto contatto
con gli alti ufficiali dell’amministrazione, incluso
evidentemente l’ufficio del vicepresidente, riguardo
all'eliminazione delle restrizioni legali alla tortura.
Ma dopotutto Gonzales è solo un avvocato.
Già allora gli alti ufficiali avevano dimostrato il
loro “entusiasmo” per l’argomento, il loro desiderio
di essere coinvolti. Prendiamo Donald Rumsfeld. Come
ha scritto Richard Serrano del Los Angeles Times:
“Dopo che la recluta talebana americana John Walker
Lindh venne catturata in Afghanistan, l’ufficio del
Segretario alla Difesa Donald H. Rumsfeld diede istruzioni
agli ufficiali del servizio segreto militare di ‘togliersi
i guanti’ per interrogarlo… Nelle prime fasi i nuovi
documenti mostrano che le sue risposte venivano trasmesse
a Washington ogni ora … Cosa accadde a Lindh, che è
stato spogliato e umiliato dai suoi secondini, anticipa
il tipo di abuso documentato dalle fotografie dei soldati
americani che tormentano i prigionieri iracheni ad Abu
Ghraib.”
Questo nel 2001. Nel dicembre 2002 Rumsfeld ha personalmente
approvato una lista di “tecniche di interrogatorio”
estreme per Guantanamo fino all’uso di cani per intimorire
i prigionieri.
E’ una storia macabra e una delle figure principali
che l’ha resa reale riceverà nei prossimi giorni una
promozione dai senatori democratici. Immaginatevelo.
Alberto Gonzales, l’avvocato che ha sponsorizzato un
regime di torture per il suo presidente, diventerà presto
Ministro della Giustizia. Forse è adatto. Allora il
Dipartimento di Giustizia può entrare nello stesso mondo
di nomi contorti come Camp Justice, salvato dall’impatto
a sorpresa dello tsunami da un avvertimento speciale
del Pentagono. Se ci pensate, stiamo ancora vivendo
sulle rovine del World Trade Center.
Tom Engelhardt, che dirige il Nation Institute's Tomdispatch.com
("un antidoto regolare ai media mainstream"),è co-fondatore
dell’American Empire Project e autore
di The End of Victory Culture, una storia romanzata
del collasso del trionfalismo americano nell’era della
Guerra Fredda.
Copyright C2004 Tom Engelhardt
* Il Teatro Grand-Guignol ebbe in Francia un grande
successo di pubblico, attraverso fasi imperniate sui
temi della follia, dell'erotismo sadico e masochistico,
della crudeltà fisica e mentale. Ne nacque un genere
che fu ripreso ed esasperato dal mondo del cinema. Il
termine è ancor oggi usato per indicare una rappresentazione
dai caratteri sanguinolenti e torbidi
Fonte: http://www.tomdispatch.com/index.mhtml?pid=2102
Traduzione di Valeria D'Angelo per Nuovi Mondi Media