I
simboli non sono inventati; esistono, appartengono all'alienabile
patrimonio dell'umanità
si potrebbe anzi dire che tutti i pensieri e le azioni coscienti sono
la conseguenza inevitabile del processo inconscio di simbolizzazione,
e che la vita dell'uomo è governata dai simboli (G.Groddeck,
Il libro dell'Es)
IL
TRE
Nella fantasia occidentale il numero
tre si staglia come l'espressione della sintesi del tutto: l'inizio,
la fine, e quello che è compreso entro questi parametri.
Spinoza, il primo laico della storia moderna, disse che se
il triangolo potesse parlare, direbbe che Dio è per eccellenza
triangolare: 'deum eminenter triangularem esse.'
Freud ci ha mostrato che il numero tre è il simbolo
del genitale maschile (Sigmund Freud, «Simbolismo nel sogno»,
in Opere, B. Boringhieri, Torino 1989, Vol.8, p.326).
Quello che diventerà un simbolo cosmico era cominciato
molto terra-terra: il centro del corpo umano diventerà il centro
dell'universo.
Attraverso l'analisi, non ha fatto altro che confermarci quello
che i filosofi dalla Grecia antica e fino a Benedetto de Espinoza,
il marrano, ci avevano sempre detto, ognuno con le sue parole.
Con questo numero Freud apre la lunga lista dei simboli che
rappresentano il genitale maschile, come per indicarci che questo
sia il più caratteristico e il più importante.
Più avanti ci dice:
Se questo numero debba eventualmente
a questa relazione simbolica il suo carattere sacro, è una
questione ancora aperta. Sembra però accertato che parecchie
cose tripartite che compaiono in natura, per esempio il trifoglio,
derivano da questo significato simbolico il loro impiego in stemmi
ed emblemi. Anche il cosiddetto giglio francese tripartito e il singolare
stemma di due isole così lontane tra loro come la Sicilia e
l'isola di Mann, il triscele (tre gambe semipiegate che si dipartono
da un comune centro), sembrano essere solo stilizzazioni del genitale
maschile. Nell'antichità le effigi del membro maschile erano
ritenute i più potenti mezzi apotropaici, cioè di difesa
contro gli influssi malefici, e con ciò si connette il fatto
che gli amuleti portafortuna del nostro tempo sono nell'insieme facilmente
riconoscibili come simboli genitali o sessuali (op.cit., p.335).
La mitologia greca ci presenta tre categorie di rappresentazioni
principali in cui appare questo numero: 1) I mostri fallici. 2) La
triade di dee olimpiche vergini 3) La triplice rappresentazione di
Zeus, come Zeus Hyspsistos, Zeus Chthonios e come dio senza un appellativo
(Poseidone), in un unica consustazione con Dioniso, il dio bambino.
I mostri fallici
(Riportiamo le rappresentazioni della mitologia greca come
sono state riassunte da K. Kerenyi, Die Mythologie der Griechen,
Zurigo 1951. Tr. it. Gli Dei della Grecia, Il Saggiatore, Milano
1962, pp. 38-9 e 48-60)
Nei racconti sull'origine del mondo
il numero tre è dominante.
Tre grandi dee infatti sostengono la parte di madre universale:
la dea marina Teti, la dea Notte e la Madre Terra.
Il concetto base è dunque che la vita stessa abbia origine
dal genitale, di cui il tre è il simbolo. Il pene,
maschile per definizione, era dunque all'inizio generatore e femminile.
Nyx stessa, la Notte, era una dea triforme (per la notte e
il buio come simbolo del ventre materno vedi: Karl Abraham, Opere,
B.Boringhieri, Torino 1997, Vol. II, p.595 sgg.), e tra i figli della
Notte erano anche le dee del Fato: le Moire.
Queste sono la rappresentazione più importante tra le
numerose triadi di mostri femminili che popolano il mondo preolimpico
della mitologia greca, rappresentazioni arcaiche di madri, mostri
e destino irrevocabile.
Quello che accomuna queste figure è che sono sempre
tre e sempre vergini.
Le Moire, probabilmente le figure mitologiche più
arcaiche, di cui persino gli dei avevano timore, al disopra degli
dei stessi e simbolo delle forze malefiche della natura a cui nessuno
si può sottrarre. Il loro simbolo fallico era il fuso poiché
esse filavano il filo della vita umana. Neppure Zeus, il padre degli
dei, può cambiare la loro decisione.
Le Graie, dee vecchie, come le Moire, apparivano
anche come vespe o api. Si diceva che fossero vecchie fanciulle. Si
raccontava che avessero un solo occhio e un solo dente in comune,
e quindi se lo passassero a vicenda. L'Eroe Perseo riuscì a
sottrarglielo mentre se lo stavano passando, e poté così
costringerle a rivelargli il modo di vincere la Medusa. Dove esse
dimoravano non si vedeva né il sole, né la luna.
Il dente e l'occhio sono simboli fallici e la loro asportazione
simboleggia una castrazione (S.Freud, op.cit., Vol. 8, p.328).
Anche il fatto che abitassero nelle tenebre allude allo strato arcaico
di queste fantasie, poiché il buio simboleggia il ventre materno
(Abraham, ibidem).
Le Erinni o Eumenidi. Furono concepite dalle gocce di
sangue dell'evirazione di Urano. Anche queste erano vecchie e più
antiche dello stesso Zeus. Al posto dei capelli bianchi avevano dei
serpenti. Perseguitarono Oreste per il suo matricidio ed erano una
delle rappresentazione della Madre arcaica. Perseguitavano i mortali
che si erano macchiati di qualche peccato.
Le Arpie alate. Mostri repellenti. Il loro alito e la
loro traspirazione erano insopportabili. Abbaiavano e apparivano anche
nelle sembianze di cani. Portavano fiaccole, fruste guarnite di ferro
e serpenti. Rapivano i fanciulli.
Le Gorgoni. Avevano ali d'oro e mani di bronzo,
zampe potenti come quelle dei cinghiali e serpenti intorno alla testa
e attorcigliati alla vita a guisa di cintura.
In tutte queste triadi vi sono gli stessi elementi che ritornano:
la verginità, il numero tre e la ripetizione ossessiva dei
simboli fallici attraverso i quali sono rappresentate.
Tutte tre, donne, orribili, vergini e immortali.
L'unica che perse la sua verginità, la Medusa, una delle
Gorgoni, poiché fu deflorata da Poseidone, perse anche l'immortalità
e fu uccisa da Perseo.
Quindi la verginità era la conditio sine qua non
per l'immortalità.
Le triadi di vecchie del mondo preolimpico tenebroso
e nebuloso, con poteri sovrannaturali e che incutono terrore, hanno
la loro continuazione nelle streghe partorite dalla fantasia dei popoli
nordici che sono arrivate a noi attraverso le fiabe e le saghe medioevali,
tra cui le streghe di Macbeth e le inviate della Regina della Notte,
nella storia del Flauto Magico. In questi due ultimi casi non ci viene
raccontato esplicitamente della loro verginità ma questa è
implicata per associazione con i mostri preolimpici, partoriti dalla
fantasia greca.
Come ci ha insegnato Freud il tre è il simbolo del genitale
maschile, ma ci ha insegnato anche che anche la donna viene fantasticata
dal bambino con un pene come quello maschile (Freud, «Teorie
sessuali dei bambini», in op.cit., vol.5, pp.456-8),
quindi possiamo ora cercare di decodificare il significato di queste
triadi falliche, vergini e immortali: tre = genitale femminile uguale
a quello maschile.
Verginità corrisponde dunque a inviolabilità
del membro femminile - maschile.
La deflorazione viene dunque percepita come un'evirazione di
quello che è un membro simile a quello maschile (Freud, «Il
tabù della verginità », in op.cit., vol.
6, pp.435-6).
Se la perdita della verginità corrisponde alla perdita
dell'immortalità, come avvenne per la Medusa, ecco che abbiamo
davanti la formula completa: tre = genitale maschile e femminile =
completezza = immortalità, e di riflesso la sua formula equivalente:
evirazione = mutilazione della completezza del numero tre = perdita
dell'immortalità.
L'immortalità e la completezza corrispondono
quindi all'inviolabilità del simbolo genitale completo.
La triade di dee olimpiche vergini
Con lo sviluppo della società
greca e lo sbocciare delle divinità olimpiche in una multiforme
rappresentazione scenica, la fantasia occidentale crea una nuova rappresentazione:
una triade di dee sempre vergini, ma non più mostri terrificanti,
bensì vergini attraenti: Atena, Artemide e Persefone.
Le prime due portano armi, come simbolo genitale apotropaico, la lancia
la prima e l'arco e le frecce la seconda. Persefone, essendo vergine,
probabilmente aveva anche lei un'arma in mano.
Come Medusa, con la propria deflorazione, era diventata mortale,
anche Persefone perde simbolicamente l'immortalità poiché
esce dalla triade delle dee vergini e diventa regina dell'Ade, ovvero
del regno dei morti.
Al suo posto entra Estia, figlia di Rea e Crono, genitori che alludono
all'arcaicità della dea, sorella dei Titani.
Probabilmente Estia faceva, dunque, parte di qualche triade preolimpica
arcaica, come le Erinni, sue «zie», ma fu adottata dall'Olimpo,
più tardo, forse per riempire il vuoto creato dalla deflorazione
e dipartita di Persefone. Entrò in questa triade priva dell'elemento
apotropaico che le sarebbe spettato, essendo vergine. Se faceva parte
di una trade di mostri sacri preolimpici, associandosi a due vergini
giovani e desiderabili, dovette cambiare sembianza e lasciare i serpenti
apotropaici terrificanti nel posto dal quale veniva. Il suo serpente
di mostro fallico, che si può ancora intravvedere nell'illustrazione
mentre esce sotto la lunga veste, fu apparentemente raccolto da Persefone
durante la sua discesa agli Inferi, dove appare seduta su un trono
incastonato da
un serpente alato.
Sembra che i rettili dei mostri fallici, quando si accompagnano a
dee olimpiche, perdano parte del loro aspetto terrificante, si addolciscano,
e la loro caratteristica apotropaica è implicata dal carattere
verginale della dea a cui si accompagnano, più che dalla loro
mostruosità, come possiamo vedere nella splendida e maestosa
Atena di Fidia.
Eppure, anche Estia qualcosa in mano
tiene: il bastone è un'allusione all'arma che le sarebbe spettata,
come ad Atena e Artemide. Vediamo come la rappresentazione tradisca
sempre gli elementi che facevano parte della storia originale.
Persefone verrà d'ora in poi
associata ai cicli della natura e della fertilità della terra.
Figlia di Demetra, la dea delle messi e del pane, salirà dagli
inferi alla terra e vice-versa insieme al susseguirsi delle stagioni.
Estia ispirerà invece le Vestali, le sacerdotesse sacre,
custodi della verginità e del focolare domestico.
Privata dei propri simboli fallici apotropaici terrificanti,
ma senza un'arma che li sostituiscano, Estia, come parte della triade
verginale, sembra un po' fuori posto, le manca qualcosa, questo qualcosa
era andato perso per strada nel passaggio. Una lunga veste che la
copre fino alle caviglie è l'unica cosa che allude alla sua
intoccabilità.
Vediamo, dunque, che anche nella triade olimpica delle dee
vergini, il numero tre significa verginità, inviolabilità
del genitale.
Il motivo di una triade di donne attraenti appare anche nella
scelta che fa Paride tra tre dee. Il mito è il risultato
di una condensazione e sovrapposizione in quanto delle tre dee, Atena,
Afrodite e Hera, solo la prima era la dea vergine. Secondo noi la
versione originale del mito era quella di una triade di dee vergini,
tra le quali l'Eroe doveva sceglierne una da deflorare, alla pari
di Poseidone che sceglie la Medusa tra le tre Gorgoni, Ades, che sceglie
Persefone nella triade olimpica verginale e Mercurio che sceglie Erse,
una tra le tre figlie vergini di Cecrope (Ovidio, Metamorfosi
II,710-750).
La nostra supposizione si basa sul numero stesso delle dee
tra le quali l'eroe troiano deve scegliere. Se erano tre, questo numero
implicava la completezza del loro genitale e, quindi, la loro verginità.
A questa versione se ne sovrappone un'altra più recente,
in cui forse si può leggere anche un tipo di simbolismo allegorico,
in cui l'Eroe deve scegliere tra la dea della verginità (Atena),
quella del matrimonio (Hera) o quella dell'amore (Afrodite). Ma noi
preferiamo supporre che il motivo per il quale la connotazione verginale
di questa triade sia stato sterilizzato nella sovrapposizione posteriore
è che la scelta doveva cadere necessariamente sulla dea che
rappresentava il contrario della verginità. L'intenzione del
mito, infatti, è di alludere come il simbolo dell'Amore, dell'Erotismo
e della deflorazione, rappresentato da Afrodite, porterà la
morte e la distruzione totale ai Troiani.
Questo è anche il motivo per cui viene scelto un Eroe
troiano, che deve compiere la scelta. Sarà obbligato a scegliere
il simbolo della deflorazione e questa sua scelta porterà lui
e il suo popolo alla morte e alla distruzione. Quindi, la triade tra
cui doveva scegliere non poteva, ovviamente, essere formata da tre
dee vergini.
Una conferma al fatto che la versione più arcaica corrispondesse
a quella di Poseidone che sceglie la Medusa, e a quella di Ades che
sceglie Persefone, in una triade di vergini, è che sia Medusa
che Persefone dopo la loro deflorazione muoiono, la prima di una morte
reale e la seconda di una morte simbolica. Nel caso di Afrodite, che
viene scelta come oggetto d'amore dall'eroe, era l'unica tra le tre
dee che era associata all'Averno, benché da lungo tempo avesse
ceduto il suo ruolo ctonico ad altre figure divine, quali Persefone
e Artemide-Ecate triforme (Freud, «La scelta degli scrigni»,
in op.cit., vol.7, p.215).
Afrodite dall'Averno veniva e là trascinerà
coloro che la scelgono.
Ecate si chiamava in cielo Luna, in terra Artemide (Diana),
nell'infero Persefone (Proserpina) -(tergemina Hecate)- ed era rappresentata
come una statua trimorfa, con i tre visi rivolti nelle tre direzioni,
oppure con tre maschere di legno attaccate a un palo (Kerenyi, op.cit.
p.41).
Se Artemide- Ecate triforme aveva avuto un aspetto ctonico
e si trasfigura poi in dea olimpica vergine e immortale, vuol dire
che anche in questa direzione c'è un legame associativo con
la Morte, di cui però viene fatta un'inversione, un undoing,
attraverso la sua trasfigurazione in verginità. Artemide, di
tutte le dee vergini, è quella che custodisce più ferocemente
la propria verginità, e chi tenta di avvicinarsi a lei viene
ucciso crudelmente, come Atteone che fu dilaniato dai suoi cinquanta
cani (K.Kerenyi,ibidem, p.126). Anche Tiresia che aveva tentato anche
solo di vederne i genitali, mentre la dea era al bagno, viene punito
con la cecità (Ibidem, p.78.), sinonimo di castrazione (vedi
K.Abraham, supra). Diremmo che il motivo è che Artemide che
aveva guadagnato l'immortalità, la vita, non voleva perdere
la verginità e tornare all'Averno, come successe a Persefone.
Queste due dee, in uno stadio arcaico, si erano scambiate:
una era salita dall'Averno e aveva guadagnato la verginità,
che per mezzo del suo arco e le sue frecce era diventata uno strumento
apotropaico, e l'altra aveva perso la verginità e vi era scesa,
diventando la dea degli Inferi.
Nel caso di Afrodite, che viene scelta da Paride, la scena
che ci viene rappresentata è già una sovrapposizione,
in cui avviene anche un'inversione. Se Paride nella versione originale
doveva scegliere tra tre dee vergini, nella sovrapposizione che ci
presenta il mito sceglie colei che simboleggia il contrario assoluto
della verginità: la dea dell'Amore e dell'Erotismo.
Come ci
ha mostrato Freud (ibidem, pp. 213-5) , la scena in cui Paride sceglie
la terza dea, che è la più bella, corrisponde alla
scelta della Morte, che non viene al posto dell'Amore, bensì
si condensa ad esso.
Questo strato si ricollega a quello precedente poiché
Afrodite, diventando la dea dell'Amore, perdé così
qualsiasi connotazione e aspirazione alla verginità, e diventa
la dea deflorata per antonomasia.
Freud è arrivato, prendendo un'altra strada, allo
stesso punto di arrivo: Amore = deflorazione = violazione del genitale
= Morte.
Se Artemide era salita dall'Averno per fare un undoing della Morte, attraverso la verginità-ripristinazione
del genitale, e diventa la più solida colonna della triade
verginale, Afrodite non aspira, in nessun modo, a diventare parte
di questa triade. Dall'Averno porta con sé la connotazione
deflorazione = profanazione del genitale = Morte, e diventa, come
ci ha mostrato Freud, la dea della Morte, e come tale viene scelta
da Paride.
Come riporta Kerenyi (Kerenyi, ibidem, p.71), Afrodite non
aveva nessun potere su tre dee: Atena, Artemide ed Estia. La triade
verginale olimpica doveva la sua potenza alla sua verginità.
La dea deflorata, Afrodite, privata della completezza del suo genitale,
nulla poteva contro il tre, l'organo genitale completo, della triade
verginale.
Le leggende e le fiabe ci raccontano di numerose triadi
di ragazze, e l'implicazione è sempre che queste siano vergini,
di cui una, la minore, è anche la migliore e diviene la prescelta,
da Cenerentola
alla Cordelia di Shakespeare.
Freud ci ha mostrato che la prescelta simboleggia sempre
la Morte («La scelta degli scrigni», in op.cit.,
vol.7, pp. 208-218).
Quello che mancava a Freud, per completare la sua analisi,
era un ulteriore passaggio: la terza viene scelta come anello debole
della completezza della triade, del genitale rappresentato dal suo
numero. Viene scelta come simbolo di oggetto di deflorazione, e
quindi è anche la più giovane, la più bella
e la più desiderabile. Ella è il punto di rottura.
Viene scelta, deflorata e quindi si trasfigura in rappresentazione
della Morte stessa. Era il momento della scelta come simbolo della
deflorazione, che mancava a Freud.
La scelta di una su tre donne, come momento della
rottura del genitale, è ancora più esplicita nella
commedia di Shakespeare: 'la Bisbetica Domata'. Tre sono le donne
di cui solo la terza viene 'domata', ovvero 'deflorata' dal marito.
E, come abbiamo visto sopra, nella fantasia inconscia deflorazione
equivale ad evirazione.
Quindi, tutte le leggende e le fiabe che ci raccontano della
scelta di una donna su tre, da Poseidone che sceglie la Medusa tra
le tre Gorgoni, Ade che sceglie Persefone nella triade olimpica,
Paride-Afrodite, Lear-Cordelia ( è avvenuta qui un'inversione,
poiché Lear non sceglie Cordelia, come avrebbe dovuto),
il Principe-Cenerentola ecc. ci raccontano di un atto di deflorazione,
di rottura della completezza del genitale (in questo caso femminile
ma che, nella fantasia infantile, è pari a quello maschile,
se non ingigantito ancora di più dalla sua misteriosità)
e, quindi, di Morte.
Così sembra che il ciclo sia completato e il circolo
chiuso.
Ma c'è ancora una cosa che Freud non ci dice
sulla preferenza della terza donna come scelta della Morte.
Freud spiega questa scelta come
la sostituzione dell'oggetto
del desiderio con il suo opposto'si tratta qui di un desiderio che
si esprime mediante un'inversione. La libertà della scelta
sta al posto della necessità, dell'inesorabilità del
destino. In tal modo l'uomo vince la morte che ha dovuto riconoscere
con l'intelletto. Non si può immaginare trionfo dell'appagamento
di desiderio. Là dove nella realtà si è costretti
a ubbidire per forza qui si sceglie (op.cit.
p.216).
A noi sembra che abbia introdotto qui una
razionalizzazione.
Nel 1920, infatti, sette anni dopo aver scritto 'La Scelta degli
Scrigni', non vede più nella morte solo un'inevitabilità
in antitesi all'appagamento di desiderio, bensì fa di quella
una pulsione: la pulsione di morte ('Al di là del principio di
piacere', in op.cit. vol. 9, pp.220-249).
Sotto questa nuova luce la scelta degli eroi delle saghe e delle
fiabe non è già più solo un piegarsi all'esigenza
della natura sotto la pressione intellettuale del riconoscimento dell'inesorabilità
del destino, bensì è il risultato dell'azione di una pulsione,
ovvero di un desiderio.
Nel 1929 scrive:
Dobbiamo confessare che ci è
molto più difficile cogliere quest'ultima [la pulsione di Morte],
in un certo senso la indoviniamo soltanto nello sfondo, dietro l'Eros,
e addirittura ci sfugge se non si svela frammischiandosi ad esso ('Il
disagio della civiltà', in op.cit., vol.10, p.508).
Scegliendo la terza donna, l'uomo soddisfa
anche la pulsione di morte, arruolando l'Eros in un unico impasto pulsionale.
Nella 'Scelta degli Scrigni' Freud ci dice: 'Si potrebbe affermare
che ciò che è qui raffigurato sono le tre relazioni inevitabile
dell'uomo nei confronti della donna: verso colei che lo genera, verso
colei che gli è compagna e verso colei che lo annietta'(p.218).
Ma prima di rifugiarci nell'allegoria, che è sempre sconsigliabile
per chi sia interessato ai contenuti concreti che sono sempre alla base
di ogni metafisica, è nostro dovere esaurire tutte le forze in
campo che agiscono nel teatro delle pulsioni.
La scelta di uno degli scrigni, ovvero di una donna, nelle
fiabe, nelle saghe e nei miti è, come nel prodotto onirico, la
rappresentazione di un appagamento di desiderio. L'impasto tra pulsione
di morte ed Eros è quello che produce queste rappresentazioni.
Esso condensa la pulsione a tornare a materia inanimata (quella, appunto
di morte) con l'Eros di tornare nel ventre materno. Cavalcando il principio
di piacere, Eros si trasfigura in morte.
Quindi la donna 'che lo annietta' e 'quella che lo genera'
sono una sola.
Il tre, come simbolo del genitale maschile-femminile, simbolo
della completezza, sta per il tutto: nascita e morte, completezza del
tre come Eros, in un'unica equivalenza di vita e di pulsione di morte.
Non 'si sceglie l'inevitabile', anche nel sogno, a meno che non
ci sia anche un appagamento di desiderio. Anche la coazione a ripetere
di cui ci ha parlato Freud, usa come veicolo il principio di piacere.
Ed ecco che anche la Moira, che come ci dice Freud stesso, 'personifica
l'inevitabilità del destino' era una sola e nella sua successiva
evoluzione diventa tre divinità sorelle non, con le parole di
Freud 'per adeguamento ad altre figure divine cui le Moire si accostavano'
(ibidem), bensì l'inevitabilità del destino viene rappresentata
dal tre che è il simbolo del genitale completo, come completo
è il ciclo Eros (nascita)- pulsione di morte- ritorno al grembo
materno (situazione anteriore alla nascita).
Il tre non sta dunque per le tre rappresentazioni che l'uomo
si fa della donna e nemmeno per tre stadi della vita, queste possono
essere al massimo sovrapposizioni allegoriche posteriori, ma sta prima
di tutto per la completezza dell'impasto Eros-pulsione di morte, che
include in se tutte le manifestazioni dell'essenza umana: la donna che
da la nascita all'uomo dal suo grembo e lo raccoglie in esso alla fine
della vita è una e il suo simbolo è il tre.
Link to La figura
di Donna Anna nel Don Giovanni
Zeus e la Trinità
(Il paragrafo su Zeus si basa su K.Kerenyi, op.cit.
pp.192-3)
I miti orfici ci raccontano della venerazione
di una triade, di un culto di Zeus come dio del cielo (Hypsistos),
come dio degli Inferi (Chthonios) e come dio senza appellativo. Questa
parte vacante fu poi riempita da Poseidone, dio del mare, il cui simbolo
fallico è il tridente. Questi tre aspetti dello Zeus dei miti
orfici si svolsero e ricevettero la loro epifania nei tre dei olimpici:
Zeus, dio del cielo, di cui Ovidio dice: «cui dextra trisulcis
ignibus armata est» (Metam. II,845), Poseidone, dio
del mare, con in mano il tridente, equivalente dei fulmini a tre punte
di Zeus, e Ades, dio degli Inferi.
Inoltre Dioniso appare come bambino e come secondo Zeus, con
le parole di Kerenyi:
In
altre storie egli (Dioniso) figurava come figlio di Persefone e veniva
indicato con l'epiteto di Chtonio come Zeus...Il padre del bambino
viene anche chiamato Ades...Il nome stesso Ades esprimeva solo qualcosa
di negativo e indicava uno solo degli aspetti di un grande dio. Ma
si sa che allo sposo di Persefone spettava anche il nome di Zeus Katachtonios,
«Zeus sotterraneo». Quale Katachthonio, Zeus era il padre
del Dioniso sotterraneo. Nella stessa qualità egli si chiamava
anche Zagreo, «il grande cacciatore», e così si
chiamava anche suo figlio. Tale identità è già
stata menzionata a proposito di Zeus... Nella maggior parte dei racconti
Dioniso ha la parte del tenero fanciullo...Si riconoscono i due volti
che anche Zeus mostrava: il volto del padre e dello sposo da un lato,
quello del figlio e del bambino dall'altro. Non solo Zeus e Dioniso
avevano questo doppio volto nella nostra mitologia, ma nessun altro
dio sembrava quanto Dioniso un secondo Zeus (K.Kerenyi, Gli Dei
della Grecia, Il Saggiatore, Milano 1962, pp.207-8).
Vediamo qui, in maniera molto chiara, come
Zeus appaia nei miti orfici come la sintesi di una triplice divinità
di cui anche il bambino, Dioniso, faceva parte, come bambino e come
re del mondo, in alternazione con Zeus-Dio Padre. Zeus, come dio dei
cieli, nel cristianesimo si trasfigurerà nella figura del Padre,
in un'unica consustanzialità con Dioniso, dio-figlio.
Il numero tre era infatti il numero di Dioniso, che era
denominato Trigonos, il tre volte nato
Il triennia o trieterica sacra, era la festa triennale di Dioniso-
Bacco, che si celebrava a Tebe ogni tre anni .
Sentiamo cosa ci dicono i miti orfici della sorte di Dioniso:
I
Titani arrivarono come morti dagli Inferi, dove Zeus li aveva relegati,
colsero di sorpresa il bambino che giocava, lo lacerarono, lo tagliarono
in sette pezzi e li gettarono in una caldaia che stava in un tripode.
Quando la carne fu cotta, essi incominciarono ad arrostirla su sette
piedi. Secondo una delle versioni le membra cotte del dio furono sepolte
e da esse nacque la vite. Anche i seguaci di Orfeo dicevano che l'ultimo
dono di Dioniso sarebbe stato il vino e chiamavano lui stesso Eno,
'vino' (ibidem).
La liturgia cristiana si ricollega direttamente
ai miti orfici, dopo che erano stati superati da molti secoli e semi-rimossi,
in una regressione esistenziale che riportò l'Occidente, per
quello che riguarda il nucleo essenziale del rito, al pasto totemico
di un Dioniso sempre divorato e sempre risorto. La Pasqua è la
celebrazione della rinnovata unione dei tre elementi della Santa Trinità
in uno solo, e questo è possibile solo attraverso la Passione,
ovvero l'espiazione dei peccati dell'umanità, che il Redentore
è venuto a riscattare, poiché dopo la sua morte il Cristo
va a raggiungere Dio-Padre e siede alla sua destra.
Il Cristo è il secondo Adamo e viene a riscattare il peccato
originale del primo uomo.
Ma quale era stato questo peccato?
Come ci ha mostrato Reik (Theodor Reik, Myth and Guilt,
New York 1957, pp. 130-155 e 161-7), il Peccato Originale e la
Caduta, descritte nella Genesi, sono le tracce mnestiche di un peccato
di aggressione e di cannibalismo verso il Padre primigenio, poiché
cibarsi dell'albero del Paradiso Terrestre corrisponde a cibarsi del
corpo del Dio stesso, in quanto per i primitivi, l'albero era il dio.
L'albero proibito, in ebraico si chiama Etz Had'at, albero
della conoscenza, e la stessa radice ID'A, conoscere-sapere,
è adoperata come espressione di rapporto genitale: «Adamo
si unì (in ebraico «conobbe» e il verbo è
transitivo) ad Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì
Caino» (Gn.4,1), «Caino si unì (in ebraico
«conobbe») a sua moglie che concepì e partorì
Enoch» (Gn.1,17), i Sodomiti
volevano gli ospiti di Lot per «conoscerli», cioè
per sodomizzarli (Gn.19,15).
Quindi quando l'uomo aggredì l'albero-dio per ucciderlo
e cibarsene intendeva appropriarsi della sua conoscenza genitale. Atto
di cannibalismo ed evirazione in un'unica condensazione.
Il mito greco svolge la condensazione di quello biblico e vi
introduce un'inversione. Crono evira il padre Urano. Ma Crono, il dio-figlio
divora i propri figli, in un'inversione di quello che era stato un atto
di cannibalismo verso il proprio padre. Lo svolgimento del mito greco
riprende esattamente gli stessi elementi di quello biblico.
Quindi il peccato originale che il Cristo è venuto a redimere,
attraverso il suo autosacrificio, è l'antico peccato di aggressione-evirazione.
Il peccato originale, come questo viene percepito sia dalla mitologia
ebraica che da quella occidentale, è dunque un peccato di profanazione
della completezza del genitale paterno e l'autosacrificio di Cristo,
a nome di tutta l'umanità, rappresenta un undoing
di questo atto di profanazione-evirazione, il suo capovolgimento.
Con la sua morte il peccato viene riscattato a due livelli: il
primo morte per morte, e la legge del taglione era l'unica valida in
tutte le culture primitive, ovvero morte del figlio per morte del Padre
e al secondo livello, restituzione dell'incolumità del membro
paterno evirato, in quanto, salendo in cielo e sedendosi alla destra
di Dio-Padre insieme allo Spirito Santo, nella sintesi della Santa Trinità
ri-instaura la completezza del numero tre che era stata turbata dall'evirazione.
In Occidente, quindi, ristabilire il numero tre è sinonimo
di completezza, di redenzione e di equilibrio cosmico.
Il simbolo fallico occidentale è rappresentato da questo
numero: il tridente di Poseidone, la triplice rappresentazione di Zeus-Dioniso,
la Sacra Famiglia, la Santa Trinità.
Anche i Tre Re Magi, che portano doni, sono il simbolo del genitale
paterno che porta in dono il bambino stesso alla donna, rappresentata,
in questa istantanea, dalla Vergine Maria.
Incontriamo una ripetizione dello stesso motivo nel mito di
San Nicola (che porta tre palle, che dona a tre bambine),
il santo che dona una dote alle bambine povere, e che poi diventa il
donatore per antonomasia nelle vesti di Santa Klaus (Babbo Natale).
Santa Klaus è infatti la corruzione del nome "San Nicola".
Il numero tre viene formato anche nella grotta di Betlemme con
il Bambino e ai due lati il bue e l'asinello; le numerose rappresentazioni
di Gesù con la Vergine e Giuseppe; le tre croci sul Golgota e,
nei numerosi dipinti, la Vergine con il Bambino e il Giovannino, La
Vergine e Sant'Anna con il Bambino, La Vergine e la Maddalena ai piedi
della croce ecc.
Nella scena della Trasfigurazione si parla di tre tende: 'Pietro
prese allora la parola e disse a Gesù: "Signore, è bello
per noi restare qui: se vuoi, farò qui tre tende, una per te,
una per Mosè e una per Elia' (Matt.,17,4).
Mosè, simbolo della Legge, Elia, simbolo della Profezia
e il Salvatore compongono anche qui una triade, sintesi del tutto.
Questo numero viene formato in tutte le variazioni possibili
proprio per riaffermare il simbolo come formula di quella completezza
che è l'unica soluzione per raggiungere l'equilibrio: Padre,
Figlio e Spirito Santo; padre (Giuseppe), madre (la Vergine) e Bambino;
Figlio e due donne, donna e due bambini ecc. Come muovendo leggermente
un caleidoscopio si riceve ogni volta una rappresentazione nuova ma
completamente simmetrica.
Links:
Eva.
Verginità e castrazione nel mito greco e nell'Oriente semitico
Il
Caravaggio e la Deposizione nel sepolcro
Three
Women: the Penis
The
Three Little Pigs and Bruno Bettelheim. How not to make an interpretation
Dal tre di Dioniso alla filosofia
aristotelica
Il tre, che in Occidente è simbolo
di completezza, divenne il punto di riferimento dell'astrazione in
tutte le sue forme, dal sentimento religioso in tutta la poliedricità
delle sue manifestazioni, alle speculazioni metafisiche.
La filosofia, che nacque in Occidente come strumento di razionalizzazione
per dare alla società una nuova visione del mondo, al posto
di quella superata della struttura tribale e della fedeltà
al clan, approdò alla fine a questo simbolo come chiave di
sistemazione dell'ordine cosmico.
Aristotele è stato considerato il fondatore della logica
occidentale, o per lo meno, il primo studioso che ne elaborò
una versione sistematica. La logica aristotelica
è però cosa ben diversa dalla logica, intesa come disciplina
scientifica, come è stata sviluppata dai pensatori matematici.
I matematici infatti vedono nella logica una teoria matematica
dell'inferenza logica, che studia cioè le regole del ragionamento
scientifico, da un livello molto generale, ma pur sempre legato alla
sostanza del discorso matematico e scientifico.
Per Aristotele la logica era una parte, non secondaria, della
propria filosofia.
Precisamente, egli considerava la logica come uno strumento,
di carattere universale, per determinare le regole che permettono
di capire e studiare la realtà. Come scrive F. Adorno:
Aristotele, più che
una descrittiva della realtà, si propone metodologicamente
di determinare le condizioni che permettono di dire la realtà'cioè
i modi che permettono corretti discorsi o relativamente all'essere
in quanto tale (filosofia prima o teologia), o all'essere nel suo
esistere (filosofia seconda o fisica), o alla possibilità di
discorrere della realtà traducendola in astratte numerazioni
(matematica);'Di qui, è noto, l'importanza data da Aristotele
allo studio dei 'luoghi (topoi) argomentativi', mediante cui determinare
le forme dei vari tipi di discorsi corretti, ossia i vari tipi di
'discorsi' validi scientificamente, rintracciando per ogni oggetto
d'indagine (per ogni scienza) e le condizioni prime e le condizioni
proprie a ciascun contenuto di ricerca (a ciascuna scienza); sotto
questo aspetto è chiaro perché per Aristotele la logica
non è una scienza, ma uno strumento (organo) di controllo dei
vari e diversi tipi di 'discorso' ('Temi platonici
e aristotelici ripresi e discussi. L'Accademia e il Peripato',
in: Storia e civiltà dei greci, a cura di R. Bianchi
Bandinelli vol. 9: La cultura ellenistica, p. 23, Bompiani, Milano,
1996) .
Dunque un discorso sulla forma: i discorsi
di cui essa parla non sono altro che applicazioni di quel Logos
che caratterizza come un marchio di fabbrica il pensiero occidentale;
la logica aristotelica è quindi un discorso sul logos, sulla
possibilità per il pensiero di produrre discorsi e razionalizzazioni,
e quindi, di abbracciare con la ragione tutta quanta la realtà.
Ma in che modo Aristotele costruisce la sua logica?
Aristotele ha posto alla base del suo studio il sillogismo, cioè
una forma di argomentazione divisa in tre parti, in cui due premesse
argomentative, si risolvono in una terza (conclusione).
Il punto di vista di Aristotele è stato criticato perché,
nella sua pretesa di essere il più generale possibile, aveva
preso in considerazione soltanto quelle argomentazioni che si prestano
a un'analisi per sillogismi, imponendo quindi una forma a priori alle
proposizioni da studiare. Inoltre, nella sua opera non c'è traccia
della giustificazione della validità del sillogismo, se non in
forza dell'evidenza degli esempi.
La logica di Aristotele è quindi uno studio delle argomentazioni
sillogistiche, e non può essere considerata una teoria scientifica,
a differenza della logica proposizionale del suo contemporaneo Crisippo,
che organizzò la materia come calcolo delle proposizioni matematiche
e utilizzando il metodo assiomatico deduttivo, trasponendo alla logica
il metodo di Euclide, e anticipando di più di duemila anni il
punto di vista dei fondatori della Logica moderna, da Frege a Peano.
A questo punto è chiaro che la logica di Aristotele è
una metafisica, piuttosto che una teoria scientifica, il cui scopo è
di creare nel lettore, in un'atmosfera di soffusa astrazione, la fede
che il pensiero razionale sia uno strumento onnipotente per penetrare
i segreti dell'intero universo. Ma questa certezza è raggiunta
attraverso l'impiego del numero tre, come simbolo cosmico del fallo
onnipotente che penetra tutti i luoghi 'segreti'. Aristotele aveva bisogno
di un processo in tre movimenti, che si risolve nel terzo e ultimo tempo,
per garantire al lettore la certezza della superiorità della
propria logica, che corrisponde quindi alla garanzia dell'onnipotenza
del proprio fallo, per cui nulla nell'universo sia impenetrabile.
Quindi, il mistero dionisiaco, il dio che attraverso la sua morte
espia il sacrilegio compiuto sul corpo del padre, si traduce nel mistero
del numero tre, che ne è il simbolo.
Il tre era stato profanato attraverso l'atto di cannibalismo
' evirazione perpetrato sul corpo del padre. Il ripristino di questo
numero sarà la chiave della salvezza ovvero la soluzione degli
enigmi dell'Universo.
Aristotele ripristina il tre, attraverso il sillogismo, e questo
numero, simbolo del fallo paterno, diventa lo strumento per risolvere
l'enigma dell'Universo, agendo nello stesso modo di Edipo, nel risolvere
l'enigma proposto dalla Sfinge.
L'uso di questo numero è l'unica chiave della salvezza:
dal mistero dionisiaco, a Edipo, ad Aristotele, alla Santa Trinità.
Il sillogismo aristotelico diventa così una dichiarazione
di fede: il dio ' padre è stato ucciso ed evirato; Dioniso, il
dio ' fanciullo, è stato divorato per espiazione; la completezza
del genitale paterno è stata ripristinata, e il mistero dell'Universo
è stato così decodificato e l'equilibrio cosmico ristabilito.
Vediamo dunque che qualsiasi sia il presupposto iniziale, l'unica
maniera per la psiche occidentale di arrivare a un porto sicuro è
trovare rifugio nello schema che rappresenta la completezza del numero
tre, il nirvana del riposo dalla conflittualità pulsionale: la
soluzione.
Tre giorni e tre volte
Tre come lasso di tempo breve appare
numerose volte nel Vangelo: 'Come infatti Giona rimase tre giorni
e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo
resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra ' (Matteo 12,40).
Per tre giorni la folla va dietro a Gesù (Matt. 15,32) e si parla di ricostruire il
tempio in tre giorni (Matt.26,61).
Gesù resusciterà dopo tre giorni (Matt.20,19) e 'Da mezzogiorno alle tre si
fece buio in tutta la terra' (Matt.27,45-6).
Come vedremo in seguito, mentre il tre come simbolo di perfezione
e di equilibrio cosmico è peculiare della cultura occidentale,
come lasso di tempo breve appare anche nella Bibbia ebraica e nel
contesto mediorientale.
Anche come numero di volte lo troviamo già in Egitto
e nell'oriente semitico.
Come simbolo del 'più di uno' appare in Egitto dove
il geroglifico di questo numero era il simbolo della pluralità,
in contrasto alla specificità del numero uno.
Come tale lo troviamo nei tre angeli che vanno a trovare Abramo
(Gn.18,2), ma che diventano
subito due (Gn.19,2), quindi
anche qui come più di uno e non come simbolo di completezza.
«Tre volte l'anno farai festa in mio onore'»
(Ex.23,14), ovvero non ti
accontenterai di una volta sola, ma tre volte.
La ripetizione nel 'tre volte', sta per affermazione.
Negli altri casi si tratta sempre di un lasso di tempo di tre
giorni.
Il sogno del coppiere del faraone: i tre tralci di vite (Gn.40,10),
e i tre canestri di pane bianco del sogno del panettiere del faraone,
interpretati da Giuseppe come tre giorni. (Gn. 40,18),
Mosè dice al faraone: «...Ci sia dunque concesso
di partire per un viaggio di tre giorni nel deserto e celebrare un
sacrificio al Signore...(Ex.5,3).
« Al terzo mese dall'uscita degli Israeliti dal paese
di Egitto, proprio in quel giorno, essi arrivarono al deserto del
Sinai.» (Ex,19-1).
«Si tengano pronti per il terzo giorno...Siate pronti
in questi tre giorni: non unitevi a una donna» (Ex.19,10; 19,14).
Giona sta nel ventre della balena per tre giorni e tre notti
(2,1)
TRE - SEI - DODICI
Cerbero aveva tre teste (tergeminus
Cerbero).
E, moltiplicazione del tre, in un ciclo che comprende quattro
volte tre, le dodici fatiche di Ercole.
Per i Romani, e come abbiamo visto anche nel cristianesimo,
il numero tre assunse una consistenza ripetitiva, ancor maggiore che
per i Greci, e lo adottarono come punto di riferimento anche per tutte
le loro istituzioni, religiose e politiche.
I due grandi sacerdoti di Marte (Flamen Martialis e
Flamen Quirinalis) si unirono a quello di Giove (Flamen
Dialis) e formarono la sacra trinità pontificale, il nucleo
di tutte le istituzioni sacre romane, ed erano denominati Flamines Maiores.
Il Triatrus
era la festa del terzo giorno dopo le Idi.
I Romani, specialmente in affari politici e giuridici, invece
delle parole spartire e parte, dicevano regolarmente dividere in tre
(tribuere) e terzo (tribus).
La parola stessa tribù viene dal latino tribus, una
delle tre stirpi originarie (Ramnes, Tities, Luceres) dei liberi cittadini
romani. E fino ai tempi di Servio Tullio, quelli che poi si chiamarono
quartieri, erano tribus urbanae, a testimonianza della primaria fusione
di tre distretti, come nucleo della città di Roma .
Le tre più alte cariche erano dette Tergemini Honores ed erano edilità, pretura e
consolato .
Il triens è la terza parte d'un asse o di un tutto
diviso in dodici parti. Nel tardo impero è una moneta d'oro=
1,3 dell'aureus. È la terza parte di un'eredità e anche
un mezzo di misura.
Poi vi erano i tri-buni, i tri- bunali, i tri-buti e da qui
la parola attribuire.
La legione romana originaria era costituita da una falange
di tremila uomini, suddivise in sei file. E i triarii erano i più
anziani e provetti soldati delle legioni.
Poi abbiamo le triremi, il tribulus, una specie di mina anticavalleria
che posava su tre raggi acuminati, e il trifax, un lungo proiettile.
Pare proprio che le parole e i concetti, derivati dalla radice
del numero tre, formino il gruppo più numeroso in latino e
nelle sue lingue derivate.
Questo numero appare anche nella sua moltiplicazione. Nella
leggenda infatti Remo vede sei uccelli e Romolo ne vede dodici. Dodici
i re di Alba da Enea fino a Romolo.
Dodici giovani saltatori (Salii) a Marzo eseguivano la danza delle armi
in onore di Marte e cantavano .
Una delle confraternite a cui era affidato di invocare la dea
creatrice a favore delle sementi, nel mese di Maggio, era quella dei
dodici fratelli oratori (Fratres Arvales) .
Ma il culto che era considerato più sacro dai Romani
e fu quello che di fronte all'avanzare del cristianesimo scomparve
per ultimo, era quello delle vestali: sei caste vergini, come figlie
della famiglia comune del popolo romano, provvedevano al servizio
di Vesta, e dovevano conservare sempre acceso il fuoco del comune
focolare, ad esempio e monito dei cittadini .
Sei vergini. Tre per due. Sacerdotesse di Vesta, l'Estia della
triade verginale olimpica.
I Romani tradussero il concetto della completezza del genitale
e della verginità in completezza e inviolabilità della
famiglia monogama e dello Stato, che diventò il punto di riferimento
e il simbolo della cosa sacra.
Lo Stato stesso era la loro Santa Trinità, rappresentazione
di sovranità e di completezza, e oggetto sacro al disopra dell'imperfezione
umana.
Tutti gli interessi privati andavano sacrificati sul suo altare.
E infine, per ultima e in un contesto cronologico differente,
ma forse non ultima per importanza, la scala cromatica, che
è composta da dodici note.
Non sappiamo per ora come collocare questa associazione, ma
forse qualche esperto di storia della musica potrà venirci
in aiuto. Certamente non è un caso.
Tre e sovranità
Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti,
il numero tre corrisponde alla completezza e al tutto. È un
numero sacro in quanto completo. Fare un undoing di questa
completezza, l'evirazione, diventa un atto sacrilego.
Per gli antichi il sacer era
tale in quanto inavvicinabile.
La formula diventa: evirazione = profanazione = sacrilegio.
Ed ecco che ora ci è chiaro il motivo per cui questo
simbolo, il tre, appaia negli stemmi araldici e nelle bandiere: poiché
esso è il simbolo della sovranità e dell'inviolabilità.
Per questo funge anche da strumento apotropaico e da ammonimento:
«Guardate il nostro simbolo fallico è completo, inviolato
e quindi intoccabile = sacro».
Quando il giglio francese fu sostituito dal tricolore,
sostituirono un simbolo fallico con un altro, ma non esattamente equivalente.
Il tre del tricolore ha, infatti, anche un significato in più,
poiché, salendo di un gradino nella scala dell'astrazione,
lo si è reso più generale.
Alla stilizzazione del genitale veniva attribuito anche un
significato di minaccia di un padre sovrano e tiranno, che ostenta
davanti all'orda terrorizzata dei figli il proprio simbolo fallico
per esorcizzarli in un'obbedienza cieca.
E infatti il simbolo stilizzato del genitale, come il giglio
francese, o la rappresentazione simbolica di questo nella figura di
uccello, come l'aquila imperiale absburgica o russa, è un simbolo
apotropaico non solo verso il nemico, ma bensì verso il popolo
stesso.
Questi erano infatti i simboli fallici dei sovrani assoluti,
padri dei loro popoli.
Quando i fratelli coalizzati si ribellarono, proclamando libertà,
fraternità, uguaglianza, detronizzarono i propri sovrani, evirarono
dalle proprie bandiere i loro simboli fallici, e li sostituirono con
i loro: un tricolore, in cui il numero tre assunse il significato
generale, oltre che di sovranità, anche di libertà,
d'indipendenza e di uguaglianza tra tutti i fratelli, coalizzati contro
la tirannia del Padre.
Non è quindi strano che numerosi paesi occidentali abbiano
il tricolore come proprio simbolo fallico nazionale, e questo è
anche il simbolo della libertà e dell'uguaglianza.
La sovranità, rappresentata dal tricolore, non
è infatti intesa solo come sovranità in rapporto alle
altre nazioni ma, prima di tutto, come sovranità del popolo
vis à vis i propri
sovrani detronizzati.
Le monarchie costituzionali si astennero, infatti, dall'esporre
stilizzazioni del genitale o simboli fallici sulle proprie bandiere,
e questi rimasero l'emblema delle monarchie assolute.
Gli Inglesi hanno sempre preferito esporre dei colori in simbiosi
con le triplici strisce, come simbolo nazionale, sintesi di una collaborazione
tra le varie classi.
I Savoia, che furono i primi sovrani costituzionali dell'Europa
continentale, adottarono il tricolore e vi aggiunsero sopra il proprio
emblema, simbolo di un regime di collaborazione tra Padre e Figli.
I movimenti di liberazione nazionale e l'istituzione di repubbliche,
al posto dei vecchi imperi, di questi ultimi centocinquant'anni, vanno
interpretati non solo in senso ristretto, ma anche come espressione
di un movimento generale di rivolta contro l'autorità del Padre,
che risucchia le sue energie e ha le sue radici nella ribellione dell'orda
primordiale contro il padre primigenio: uno sviluppo storico che ha
il suo precedente nella lontana preistoria dell'umanità.
Prima Parte | Seconda
Parte | Terza Parte
|