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Leggi antifumo. Un'utopia totalitaria.
Umanità Nova, numero 3 del 30 gennaio 2005, Anno 85

"Vivere tranquillo, virtuoso, nella propria casa, avendo ben ragione? Tanto vale bere veleno" (Charles Cros)

"La vita uccide" (John Giorno)

Alla fine di ottobre dell'anno scorso l'Ospedale Civile di Sesto San Giovanni ha presentato, in occasione di un convegno a Parma organizzato dall'Università e dai Ministeri dell'Ambiente e delle Attività Produttive, uno studio, basato sui dai relativi alle concentrazioni di benzene pubblicati dal Ministero dell'Ambiente sul suo sito internet, che dimostra come farsi una passeggiata di tre ore a Milano corrisponda a fumare ben 15 sigarette (come a Palermo e Trieste), mentre a Napoli se ne 'fumano' 9-11, a Firenze, Genova, Torino e Verona 7-8, "solo" 5-6 fumate a Roma, Catania, Foggia e Livorno ed infine Bari, Bologna, Brescia, Parma, Taranto, Padova e Venezia soltanto 4-5.

Questi dati rappresentano una novità solo per gli ingenui. I chimici definiscono l'aria delle città "Un fumo di sigaretta, sia pure molto diluito", perché la maggior parte delle sostanze che la sporcano sono le stesse sprigionate dal tabacco che brucia. Uno studio condotto a Roma, tra il gennaio '95 e l'ottobre '97 aveva già mostrato che i ricoveri in ospedale per malattie respiratorie e cardiovascolari aumentano nei giorni con i livelli d'inquinamento più alti, e in quelli immediatamente successivi. La fascia d'età più colpita era quella tra i 15 e 64 anni nei giorni con le più elevate concentrazioni di benzene, mentre se l'inquinante era l'ozono, invece, a finire in ospedale erano soprattutto i bambini. Nel 2000 due studi epidemiologici, condotti a Taiwan e in Germania e pubblicati sull'European Respiratory Journal avevano rilevato che asma, riniti allergiche, tosse secca e dispnea sono causati dall'inquinamento atmosferico e non solo acuiti dai fumi cittadini. In particolare, i medici tedeschi avevano studiato i dati sulla salute di bambini tra 5 e 11 anni in relazione alla vicinanza con 1.800 tratti stradali percorsi da almeno 4mila vetture al giorno. Quindi, attraverso il sistema satellitare Gps, è stata calcolata la distanza delle abitazione dei bambini e quindi la loro esposizione agli agenti inquinanti (benzene, diossido di azoto, polveri). Anche in questo caso è stato verificato che quelli del campione a soli 50 metri da strade altamente trafficate (oltre 33 mila vetture al giorno), hanno il doppio delle probabilità di soffrire d'asma rispetto alla popolazione generale. Niente di nuovo sotto il sole, visto che secondo la stessa Commissione Ambiente dell'Unione Europea chi vive in città è costretto a respirare un'aria da 10 a 100 volte più inquinata di quella in campagna. In questa speciale classifica del peggio, all'Italia, peraltro, non poteva che spettare la maglia nera: tra tutte le città dell'Unione europea, le nostre sono state quelle in cui il "livello di attenzione" (ma sarebbe onesto chiamarlo "di allarme") è stato superato più spesso.

A qualche mese di distanza dalle rilevazioni dello studio effettuato dall'ospedale lombardo, a parte qualche blocco parziale della circolazione, non è stato fatto nulla per ridurre l'inquinamento urbano. In compenso, il Belpaese s'è dotato di una delle leggi antisigarette più severe del mondo. Dal 10 gennaio 2005 il divieto di fumo che fino ad ora aveva riguardato gli uffici pubblici e gli ospedali è stato esteso a tutti i locali pubblici e privati aperti al pubblico, compresi bar, ristoranti, discoteche, circoli ricreativi, laboratori artigianali (???), etc. La nuova legge prevede, tra l'altro, multe salate per i trasgressori, dai 25 ai 250 euro (ulteriormente inasprite del 10% dalla Finanziaria 2005) e l'importo della sanzione raddoppia in presenza di donne in gravidanza o di bambini sotto i dodici anni. Inoltre sono anche previste sanzioni da 200 a 2.000 euro per chi deve far rispettare il divieto e non compie il proprio lavoro ed i gestori di bar, ristoranti e discoteche etc. rischiano anche la chiusura del locale da parte del questore fino a 3 mesi.

Le uniche eccezioni saranno i locali privati non aperti a utenti, mentre i bar e i ristoranti che vorranno accogliere ancora i fumatori, dovranno avere zone riservate per il fumo con impianti di aerazione e ricambio d'aria, separate dal resto del locale. Con queste norme l'Italia conquista il primato di paese occidentale con la più severe normative antitabacco. Perfino negli ultraproibizionisti Stati Uniti nelle discoteche è permesso fumare e solo in Italia sui treni non esistono più le carrozze separate per i fumatori, mentre rimane un mistero se il divieto assoluto di fumare verrà applicato anche alle carceri e alle caserme. Secondo Solzenicyn, uno dei rari tratti d'umanità di Stalin, gran fumatore di pipa, era di consentire il fumo nei gulag, ma evidentemente i governanti italiani vogliono superare in crudeltà anche il Piccolo Padre e le norme antifumo per ora non vengono applicate sui detenuti solo grazie al buon senso degli agenti di custodia e dei direttori delle prigioni che si stanno appellando alla possibilità di applicare meno rigidamente i regolamenti.

Le campagne contro il fumo hanno una storia che vale la pena di essere raccontata.

Uno dei primi crociati antitabacco fu Giacomo I Stuart, sovrano d'Inghilterra, che nel febbraio 1604 pubblicò in forma anonima, ma con le insegne reali sul frontespizio, la sua "Invettiva contro il tabacco". Le argomentazioni del monarca contro l'odorosa pianta appena arrivata dall'America (la sua diffusione era iniziata solo nel 1560 in Francia) erano in realtà più che altro un po' razziste, fumare per lui era "imitare questi indiani bestiali (...) rifiuti del mondo ed esclusi dal Patto con Dio", ma il libello prendeva le mosse dalla sicuramente sgradevole esperienza di trovarsi a tavola in mezzo a fumatori con la pessima abitudine di "soffiare il fumo addosso agli altri, in modo che fumo immondo e cattivo odore vadano qua e là sui piatti e infettino l'aria quando, molto spesso, persone che detestano il tabacco stanno mangiando". Il pamphlet del primo sovrano della casa regnante più odiata dagli inglesi (che da lì a qualche decennio avrebbero tagliato la testa al successore Carlo I) non ebbe molto successo, ma si può ben considerare l'antesignano delle campagne antitabacco che non avrebbero smesso di tormentare gli adepti della nicotina per i quattro secoli a venire.

La storia moderna delle campagne antitabacco inizia tuttavia negli Anni Trenta nella Germania nazista ed è stata raccontata dallo storico Robert Proctor, autore dell' interessantissimo "La guerra di Hitler contro il cancro", pubblicato alcuni anni fa. Al motto "Il tuo corpo appartiene al Führer", il Terzo Reich si rivelò all'avanguardia in quelle politiche salutiste ed ecologiche - dalla messa al bando delle sostanze inquinanti fino alla martellante campagna contro il fumo - che oggi rappresentano il fiore all'occhiello delle politiche sanitarie delle cosiddette democrazie occidentali. Sin dal suo avvento, "il nazismo", scrive Proctor, "fu visto come una fonte di rigenerazione della sanità pubblica". I nazisti applicarono le norme e le ricerche più avanzate della loro epoca per curare le malattie relative all'ambiente, quelle professionali, e quelle derivanti dallo stile di vita. Il cancro fu dichiarato "Il primo nemico dello stato." La politica nazista favoriva i cibi naturali e si opponeva ai grassi, agli zuccheri, all'alcol e alla vita sedentaria. Il preesistente movimento moderato contro l'uso di alcol e tabacco divenne più attivo sotto i nazisti, che s'impegnarono nel creare ciò che Proctor definisce "una sicura utopia sanitaria". 

In particolare, furono virulente proprio le campagne contro il tabacco. Il tabacco fu attaccato poiché "reliquia di uno stile di vita liberale" e fu definito una "masturbazione polmonare". "Gli attivisti antifumo sottolineavano che i tre principali leader fascisti d'Europa - Hitler, Mussolini e Franco - erano tutti non fumatori". Nella Germania nazista alcuni ricercatori di medicina, con forti connessioni al nazismo, furono i primi a stabilire una relazione statistica tra il fumo e il tumore ai polmoni. Mezzo secolo prima che l'Environmental Protection Agency  parlasse di "fumo ambientale del tabacco", l'attivista anti-tabacco Dr. Fritz Lickint coniò il termine "fumo passivo". I nazisti istituirono severi controlli anti-fumo, incluse restrizioni sulla pubblicità e divieti in molti luoghi di lavoro, negli uffici governativi, negli ospedali e in seguito anche su tutti i treni ed autobus nelle città. In alcune località divenne illegale per le donne acquistare sigarette. "La donna tedesca non fuma", proclamava uno slogan nazista.

Le campagne salutiste del regime nazista conquistarono l'ammirazione di numerosi corrispondenti di giornali stranieri, in particolare americani che mettevano in risalto che "la Germania nazista aveva la più aggressiva campagna contro il fumo e la più sofisticata epidemiologia antitabacco del mondo". Queste campagne furono poi importate negli Stati Uniti da fondazioni filonaziste come la Pioneer Foundation, ma a partire dagli anni Cinquanta sono diventate progressivamente uno degli assi portanti delle campagne per la salute pubblica prima negli USA e poi nei paesi dell'Europa Occidentale.

Il fatto che siano stati proprio i nazi a lanciare le campagne antifumo non stupisce più di tanto. Se è piuttosto ovvio aspettarsi che i fumatori rispettino i non fumatori e che questi possano pretendere di avere degli spazi separati, l'intromissione dello Stato nelle scelte degli individui è giustificabile solo a partire da una dottrina totalitaria. Come dice lo storico francese Pierre Lemieux, "il fascismo si basa sulla sottomissione dell'individuo alla comunità. (...) Lo stato fascista ha bisogno di 'prezioso materiale umano? - o, come diremmo oggi, di sane 'risorse umane'". Gli slogan nazisti erano più espliciti di quelli usati dai nostri crociati odierni: "Il tuo corpo appartiene alla nazione!" "É tuo dovere essere sano!", "Il cibo non è una questione privata!" L'Economato Nazionale Nazista anticipò gli odierni fascisti della salute delineando anche i cosiddetti "costi sociali" del fumo. Non c'è nessun buon motivo per cui lo Stato dovrebbe difendere i propri cittadini da sé stessi. Le politiche igieniste consentono allo Stato di focalizzare l'attenzione sulle scelte individuali piuttosto che sulla devastazione ambientale e diffondono intolleranza sociale, mostrando nei fumatori il nemico della salute pubblica piuttosto che in un sistema che martoria il pianeta con la sua economia di morte. Soprattutto, nascondono un'utopia di sani e belli che assomiglia tremendamente alla pura razza ariana di biondi con gli occhi azzurri. È possibile che il fumo uccida (come ripetono incessantemente i messaggi terroristici obbligatori su tutti i pacchetti di sigarette), ma in ogni caso le sue vittime sono volontarie, a differenza di quelli che muoiono in guerra o sul lavoro o per una delle tante malattie causate dall'inquinamento.

robertino