Perché
il sistema delleuro è instabile (fonte)
Intervita a
Wilhelm Hankel. Il prof. Hankel
è stato sottosegretario del ministero delle Finanze della
Repubblica Federale Tedesca tra il 1971 e il 1972, sotto Karl
Schiller. Tra il 1959 ed il 1967 è stato economista capo
della Kreditanstald für Wiederaufbau (KfW, l'ente che ha
finanziato il miracolo economico tedesco della ricostruzione).
E' stato professore per la moneta e lo sviluppo allUniversità
Johann Wolfgang Goethe di Frankoforte ed ha presieduto la banca
pubblica Hessische Landesbank. Insieme
ai professori Schachtschneider, Nolling e Starbatty, Hankel presentò
nel 1997 un ricorso alla Corte Costituzionale contro lintroduzione
della moneta unica. La seguente intervista è stata pubblicata
dall'Executive Intelligence Review del 12 agosto 2005.
Domanda: Professor Hankel da una decina
d'anni lei critica apertamente il Trattato di Maastricht e l'Unione
Monetaria Europea. Oltre agli interventi pubblici lei ha fatto
anche degli interventi politici e legali. Perché?
Hankel: Iniziamo considerando la situazione attuale. Perché
la gente è così scettica verso l'Europa? E' un criticismo
tanto diffuso e non può essere ignorato. Poi possiamo passare
ad altro.
Domanda: Helga Zepp-LaRouche, che da anni critica il sistema
dell'euro, ha lanciato proprio ieri un appello ai tedeschi affinché
rinuncino al Trattato di Maastricht e ritornino al sistema del
Marco Tedesco.
Pochi giorni prima il governatore della Banca di Francia Christian
Noyer (1) ha detto che ovviamente i membri dell'Unione
Monetaria Europa possono lasciare il sistema dell'Euro, se lo
desiderano. In Italia la questione dell'euro sta diventando scottante,
mentre esponenti di una banca come la HSBC hanno appena pubblicano
degli studi in cui concludono che il sistema dell'euro sta per
andare in frantumi.
Hankel: Per quelli che come me hanno criticato l'euro fin
dall'inizio è sempre una grande soddisfazione sapere che
ci sono degli altri che si mobilitano contro l'Euro. Gli svantaggi
erano evidenti sin dall'inizio: come si faceva ad immaginare che
una moneta unica potesse funzionare per un conglomerato di stati
ed economie così diversi?
Dentro la zona dell'euro la concorrenza è stata completamente
distorta: le economie relativamente più povere e arretrate
adesso possono competere con le economie avanzate avvantaggiandosi
proprio dell'arretratezza. L'arretratezza è diventata un
margine di concorrenzialità! Con l'euro i paesi che hanno
un'accumulazione di capitale limitata, povera, godono di un rischio
monetario quasi zero. Nelle economie nazionali più povere,
dove i salari ed i livelli di vita sono bassi, e dove le infrastrutture
migliori sono ancora un miraggio, la tassazione è bassa
per cui è più facile battere sui prezzi le nazioni
più sviluppate, e il vantaggio è appunto una tassazione
inferiore a cui si aggiungono anche basse tariffe assicurative
e retributive.
Da noi in Germania il fenomeno degli investitori che fuggono negli
stati periferici rappresenta un esempio evidente di
concorrenza distorta e un'offesa alla legge della produttività.
Le nazioni più produttive, quelle che hanno lavorato sodo
per realizzare delle infrastrutture possenti e dei livelli di
sicurezza e previdenza sociale eccellenti, e degli elevati livelli
retributivi, adesso sono punite perché dispongono di questo
sviluppo! Perdono posti di lavoro, capitale, investimenti e opportunità
di crescita.
Nei primi quarant'anni gloriosi del Mercato Comune, l'Europa si
proteggeva essenzialmente con la competizione monetaria. Paesi
come Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia e fino a poco fa anche
nelle stessa Francia, si svalutava la moneta ogni due o tre anni,
per motivi che sono facilmente comprensibili. Un investitore straniero
doveva prendere in considerazione il rischio che parte del capitale
investito potesse scomparire di colpo.
La moneta solida e stabile conferiva alla Germania un vantaggio:
gli investitori stranieri sapevano di poter profittare dalla rivalutazione
del marco. I nostri tassi, nominali e reali, erano i più
bassi d'Europa. Senza il marco la Germania ha perso la capacità
di attirare i capitali che è propria di un'economia altamente
produttiva.
C'è qualche sprovveduto che dice: Ma non era quello
che volevamo? Ridistribuire gli oneri in tutta l'Europa?.
Per me si tratta di una illusione pericolosa. Per i paesi in cui
la creazione di capitale è debole si aprono ottime prospettive,
ma che non possono durare. Dopo il boom ci sarà l'inflazione.
Al momento c'è un forte afflusso di capitale nelle nazioni
in cui la creazione di capitale è ridotta, in cui i tassi
di risparmio sono bassi. Oppure ottengono crediti a buon mercato
dalla Banca Centrale Europea, giacché hanno diritto agli
stessi tassi di paesi con un alto tasso di creazione di capitale.
Il risultato conduce all'inflazione.
Domanda: Il boom che si sta verificando in Irlanda e in
Spagna è un'espressione di questa dinamica inflativa?
Hankel: Certo. C'è una tendenza inflativa decisamente
straordinaria in tutti i mercati monetari dell'eurozona. E' più
evidente quando si considerano i prezzi degli assets: immobili,
titoli, ecc.
E' evidente che la Banca Centrale Europea finirà sommersa
dai problemi. Che cosa farà la BCE quando negli stati
periferici la priorità spetterà alla lotta
all'inflazione, mentre invece negli stati più produttivi
c'è da combattere la deflazione e la disoccupazione?
Per combattere l'inflazione negli stati periferici
occorrono dei tassi più alti, ma con ciò si aggraverebbe
però la crisi deflativa che affigge gli stati centrali
e al tempo stesso alimenta il disordine politico. Se la Banca
Centrale Europea invece cede alle pressioni degli stati industrializzati
e riduce i tassi, non farebbe che gettare benzina sul fuoco dell'inflazione
che imperversa negli stati periferici.
Che fa allora quel poveretto di Trichet? Niente di niente! Va
con la corrente. Il male minore? Il problema è che il male
minore significa che il processo che apre baratri sempre maggiori
tra le nazioni., con l'inflazione di qua e la deflazione di la,
può solo tendere ad aumentare. In poche parole, i giorni
dell'euro sono contati.
A prescindere dal sottoscritto, negli anni Novanta Greenspan dichiarò
ufficialmente che l'euro potrà venire, ma non è
sostenibile. Lo disse nel periodo in cui noi quattro professori
[Schachtschneider, Nölling, Starbatty and Hankel] presentammo
un ricorso presso la Corte Costituzionale Federale tedesca contro
l'euro (2).
Domanda: Non fu nel 1997?
Hankel: Nel 1992 il prof. Schachtschneider presentò
un esposto alla Corte Costituzionale Federale contro il Trattato
di Maastricht, cosa che condusse al Giudizio su Maastricht di
quel tribunale nel 1993. Essenzialmente in quel verdetto si asseriva
che l'euro poteva essere introdotto in quanto compatibile con
la Costituzione tedesca. Ma la Banca Centrale Europea deve continuare
la tradizione della Bundesbank e garantire la stessa stabilità
del marco tedesco. Nel circostanziare la sua decisione la Corte
afferma che se le basi della stabilità dovessero venir
meno, allora il governo - qualsiasi governo - avrebbe il motivo
per abbandonare l'unione monetaria. In questo punto la Corte ha
utilizzato il modo verbale congiuntivo.
Nell'estensione del nostro ricorso, nel 1997-1998, che faceva
riferimento alla Costituzione, noi ci appoggiammo a quel giudizio.
In sostanza, l'euro, che ancora non esisteva, non avrebbe potuto
soddisfare quella condizione. E il cosiddetto patto di stabilità
non avrebbe potuto funzionare: con l'esplodere di una crisi -
come noi spiegammo allora - le entrate fiscali sarebbero crollate
e il deficit sarebbe aumentato a dismisura. Questo è esattamente
ciò che è accaduto.
Domanda: Secondo lei l'errore principale del sistema monetario
europeo sta nel tandem deflazione/inflazione. Come mai allora
il sistema dell'euro è stato imposto in maniera così
energica?
Hankel: Si parla molto di una teoria, nota come la Teoria
del limite oggettivo, Sachzwangtheorie: Visto che gli Stati
Uniti d'Europa non sembrano possibili cerchiamo di arrivare allo
stesso risultato passando per via monetaria. Una volta ottenuta
una moneta comune i limiti oggettivi della coordinazione e degli
aggiustamenti saranno tali per cui quell'unità politica
desiderata emergerà quasi come una conseguenza automatica
della unione monetaria.
Nel nostro esposto alla Corte Costituzionale Federale, sostenemmo
che questa teoria non è dimostrata. Essa contraddice tutta
l'esperienza della storia. Non è mai accaduto, nella storia
mondiale, o nella stessa storia monetaria, che unioni monetarie
di questo tipo abbiano retto a lungo.
L'unione monetaria europea non può reggere più di
cinque o sette anni, perché quelli che ne fanno le spese
vogliono andarsene
Una moneta singola europea non può funzionare, a meno che
prima non vi sia un accordo politico per appianare le divergenze,
con aggiustamenti strutturali e finanziari giganteschi. Cosa per
la quale non c'è mai stato, né c'è attualmente
un modo - l'unione monetaria è stata messa a punto senza
la minima nozione di aggiustamenti strutturali e finanziari. Quel
poco che è stato fatto in tal senso è tanto poco
da essere insignificante.
Domanda: Che ruolo viene a svolgere, nell'Unione Monetaria
Europea, l' area monetaria ottimale di Robert Mundell?
Questi ha da poco ottenuto il premio dell'Istituto Economico di
Kiel ed è soprannominato il padre intellettuale dell'euro.
Risposta: Conosco bene Mundell. Lo posso capire, ma trovo sconcertante
che lui tradisca le sue conquiste intellettuali per un piatto
di lenticchie. Nella teoria dell'area monetaria ottimale
espone dei criteri che l'Unione Monetaria Europea non soddisfa
affatto: 1) aggiustamento strutturale e finanziario; 2) mobilità
della forza lavoro, che significa che i movimenti di popolazione
attraverso i confini finirebbero per appianare i differenziali
retributivi 3) minimizzazione dell'influenza economica esterna
all'Unione.
In realtà non c'è aggiustamento strutturale e finanziario
di sorta. Né si può intervenire sulle emigrazioni
in quanto questo porterebbe a scoppi di xenofobia. In quanto al
terzo criterio, neanch'esso può essere soddisfatto. Sebbene
la Germania abbia un vasto mercato interno, anch'essa si trova
a dipendere dalle economie esterne all'Unione come lo era prima
della riunificazione, e fors'anche di più di allora. Perché
allora Mundell si lascia osannare per qualcosa che non è
il suo credo non lo capisco proprio.
Domanda: Il rifiuto della Costituzione Europea, in Francia
e in Olanda, è dovuto al fatto che da quanto è stato
introdotto l'euro i livelli di vita cadono mentre l'insicurezza
economica e sociale aumentano?
Hankel: Questa è la realtà. Gli stati più
produttivi sono i perdenti mentre le nazioni meno sviluppate temporaneamente
sembrano prosperare. L'uomo della strada, che per forza di cose
è più acuto del politico medio, si rende conto sempre
di più del fatto che la crisi negli stati centrali - Germania,
Benelux, Francia e Italia - evidentemente dev'essere ascritta
all'impatto negativo della moneta comune. In queste nazioni non
è più possibile applicare i collaudati strumenti
di un'attiva politica congiunturale e occupazionale. L'euro ha
comportato l'eliminazione silenziosa degli aggiustamenti
dei cambi, ha introdotto tassi di interesse uguali per tutta l'eurozona,
mentre il patto di stabilità ha ingessato i bilanci statali.
Tre dei quattro strumenti di una energica politica economica --
cambi, interessi e bilancio -- sono stati bloccati dall'euro.
L'unico strumento che resta è il livellamento retributivo,
che è fatale. L'Agenda 2010 di Schröder
non è altro che un'efemismo per ridurre i livelli retributivi
tedeschi alla media di quelli europei.
Nel nostro esposto contro l'euro, e nel nostro libro intitolato
Euroillusione abbiamo chiaramente spiegato che un'economia
sociale di mercato -- per non parlare di stato sociale tedesco
- è incompatibile con l'euro.
Domanda: Già nel 1992 il Trattato di Maatricht si
prospettava come la distruzione di ogni strategia di investimenti
pubblici e di occupazione. Secondo lei in che modo è stato
possibile imporre una cosa del genere?
Hankel: Le parti in causa perseguivano interessi diversi.
Nei paesi in cui la produttività è bassa - Irlanda,
Spagna, Grecia, Portogallo, e in misura minore anche in Italia
- ci si attendeva dall'euro sia un affllusso di capitali che bassi
tassi d'interesse. Per quanto riguarda la Francia la preoccupazione
principale era innanzitutto quella di fiaccare il marco tedesco.
Da fonti attendibili vicine a Mitterrand abbiamo appreso che per
lui il Trattato di Maastricht era come costringere la Germania
a mettere la firma in calce ad un secondo Trattato di Versailles
(3).
Tramite il Mercato Comune, la Francia ha perseguito sistematicamente
uno scopo, che era quello di dominare le istituzioni dell'Unione
Europea, e per tale scopo il marco tedesco rappresentava un ostacolo.
Nazioni più piccole, come l'Austria e l'Olanda erano state
legate al marco tedesco. Adesso esse hanno creduto che era meglio
essere satelliti dell'euro invece che del marco tedesco. Almeno
così credevano di poter contare qualcosa nella Banca Centrale
Europea, mentre invece erano sempre state tenute fuori dalle decisioni
della Bundesbank.
Resta però da chiedersi come mai la Germania abbia deciso
di darsi la zappa sui piedi, e diventare così lo strumento
della distruzione della propria politica monetaria. Potrebbe essere
dovuto al carattere tedesco, che ogni mezzo secolo se ne va in
una fase di crepuscolo degli dei di wagneriana memoria
Domanda:
Oppure potrebbe essere la controparte imposta
alla Germania, in cambio della riunificazione? L'ex Cancelliere
Kohl disse che l'ultimatum a cui si trovò di fronte nel
dicembre 1989, affinché fosse liquidato il marco tedesco,
rappresenta il momento più nero di tutta la
sua carriera politica.
Hankel: Nondimeno lui ha comunque sottoscritto il Trattato
di Maastricht, sebbene proprio poche ore prima avesse detto che
non l'avrebbe fatto, a meno che non si arrivasse prima ad una
Unione politica. Niente unione monetaria senza unione politica!
Questo è letteralmente ciò che Kohl disse allora.
La risposta più diretta personalmente l'ho avuta nel 1992
da Joska Fischer, che poi è diventato ministro degli Esteri.
Il sociologo Lepenies, il sottoscritto e Fisher eravamo stati
invitati a parlare ad un incontro pubblico sul tema dell'Europa
che si teneva all'Università di Mannhein. Lepenies parlò
dei gravi sviluppi che si verificarono nel regno d'Italia nel
XIX secolo (la rottura economica tra Nord e Sud, ndr), quando
fu introdotta per la prima volta la moneta unica, la Lira. Io
feci notare che con l'euro saremmo arrivati ad una simile frattura
in Europa, tra una zona di ricchezza e un'altra di arretratezza
e povertà.
Poi parlò Joska Fischer che disse di essere d'accordo con
le valutazioni di noi due, che eravamo lì in veste di esperti.
Ed ha poi ammesso che lui aveva votato a favore del Trattato di
Maastricht e di essere arrivato al punto di ordinare ai deputati
del suo partito al Bundestag - ed usò proprio il verbo
ordinare - di votare a favore del Trattato. Silenzio. Poi uno
studente saltò su: Va bene, signor Fischer, ma perché
l'ha fatto? Fisher gli rispose: Dopo Auschwitz nessun
politico tedesco può permettersi il lusso di votare contro
l'Europa. La dissoluzione della Germania nell'Europa - Karl
Schiller (4) diceva al proposito come una zolletta di zucchero
in una tazza di the - è un motivo ricorrente in Germania.
Domanda: Sebbene sia stata la Francia ad aver imposto l'euro
essa adesso è tra i primi due grandi che ci rimettono.
La settimana scorsa il governatore della Banca di Francia Christian
Noyer ha dichiarato che i paesi hanno il diritto di abbandonare
il sistema se lo desiderano. Cosa prevede che faranno i francesi?
Hankel: C'è da dire che Noyer asserisce ciò
che è ovvio. I trattati internazionali possono sempre essere
abbandonati. Debbono servire all'interesse della propria nazione
e quando un tale presupposto viene meno, la legge internazionale
come definita da Ugo Grozio consente l'abbandono del trattato,
anche in assenza di una clausola esplicita in materia. Ne ho discusso
approfonditamente con la signora Helga Zepp-LaRouche. A questo
si aggiunge l'ironia del fatto che la proposta di Costituzione
che è stata bocciata contiene una clausola per il ritiro
dal Trattato. Se la Costituzione fosse stato adottata, o se sarà
adottata, non avremmo bisogno di fare affidamento su Ugo Grozio
per uscire dall'Unione Monetaria.
Lo ribadisco, Monsieur Noyer non ha fatto nient'altro che affermare
ciò che è ovvio. Ma giacché lo fa induce
ovviamente a sospettare che si stia ormai affermando l'idea che
la Francia abbia finora giocato la carta sbagliata. A proposito
dell'impatto del Trattato di Maastricht, a Parigi hanno nettamente
sbagliato e la popolazione francese ora non ha fatto altro che
sbattere il conto sul tavolo. Non è la prima volta nella
storia che una popolazione si dimostra più acuta della
propria leadership politica!
Domanda: Nei circoli anglo-americani a proposito dell'euro
domina l'ambiguità. Da una parte è palpabile il
timore che l'euro possa minacciare la posizione del dollaro, e
questo spiega come mai la crisi che l'euro ora attraversa sia
accolta con soddisfazione. D'altro canto la politica estera dell'America,
e la sua posizione monetaria, versano nel caos. Questo porta a
chiedersi se, sia la crisi dell'euro e la crisi del dollaro non
siano in realtà due facce della stessa medaglia. Non converrebbe
ribaltare l'intero sistema monetario e dirigersi verso una nuova
Bretton Woods?
Hankel: Ci sono dei politici intelligenti e ce ne sono
dei fessi, dappertutto. Alcuni in America hanno capito che l'euro
non avrebbe risolto niente. E questi non si preoccupavano davvero
del fatto che l'euro avrebbe finito per fare concorrenza al dollaro.
Loro si preoccupavano del fatto che una crisi inevitabile dell'euro
si sarebbe riversata all'esterno, comportando prima una crisi
del dollaro e poi una crisi economica e monetaria di portata mondiale.
Il primo interesse dell'America, secondo me, sta nel prevenire
una crisi, almeno per i politici intelligenti, in grado cioè
di capire come questo abbia a che vedere con i propri problemi.
Ma di certo con questo non voglio dire che il sistema monetario
mondiale attuale sia in ottime condizioni. Se due monete centrali
sono in crisi - l'euro e il dollaro - questa non può certamente
essere una base solida per l'economia mondiale.
Domanda: Riprendiamo questo tema più avanti. Per
uscire dal sistema dell'euro si incontrano anche fattori di ordine
psicologico. Come vedrebbe lei questo ritiro ordinato?
Hankel: Intanto si diffonde sempre di più in Europa
la convinzione del fatto che ci siamo andati a cacciare in un
vicolo cieco, come si deve desumere dai risultati referendari
in Francia e in Olanda.
Poi si arriverà alla vera e propria impossibilità
di continuare a gestire il sistema dell'Euro, con l'arrivo dei
nuovi membri dell'UE, che in pratica si tratta di un nuovo gruppo
di paesi che dispongono di una produttività molto modesta
ma vogliono comunque aderire all'Unione Monetaria. I nuovi dieci
membri dell'UE non si lasciano allontanare dalla tavola! Vogliono
entrare nel sistema dell'Euro così come sta già
scritto sui protocolli. Dal sistema dell'euro si aspettano interessi
ridotti e capitali a buon mercato. Ma di colpo la disparità
nei livelli di vita raddoppierebbe.Tutto questo indica come l'espansione
dell'UE alle nazioni dell'Europa dell'Est significherà
per l'etablishment europeo dover rinunciare per forza all'unione
monetaria. Già per questo motivo soltanto occorre trovare
un'alternativa all'euro.
Domanda: L'intenzione della Germania di uscire dall'Unione
Monetaria dev'essere espressa chiaramente, ma non occorrerebbe
successivamente qualche consultazione elettorale e una nuova forma
di cooperazione?
Hankel: L'alternativa non può essere il caos o una
guerra monetaria con altre nazioni, in particolare con gli Stati
Uniti. Azzarderei dire che un voto nel G7 o G8 è necessario
perché se uno dovesse prendere iniziative unilaterali,
senza aver prima raggiunto un accordo dentro e fuori l'UE, possono
esplodere delle grosse turbolenze. In sostanza l'euro per l'Europa
non comporta una dinamica ma dinamite. L'intero sistema finanziario
mondiale potrebbe esplodere. Si pera che questo sia chiaramente
compreso su ambedue le sponde dell'Atlantico.
Occorre mettere a punto una soluzione per ciò che subentrerebbe
all'euro. Se si vuole essere coerenti questo significa reintrodurre
le monete nazionali, una mossa che è nell'interesse delle
nazioni più sviluppate nel sistema dell'euro. I meno sviluppati
ovviamente saranno contrari. Si prenda il caso dell'Italia: il
primo passo verso una lira nuova rappresenterebbe una enorme svalutazione
e una forte spinta inflazionistica.
Ritengo che come primo passo occorra mantenere l'euro, facendone
ciò che l'ECU è stato prima dell'unione monetaria,
e cioè una unità di conto. Si potrebbe lasciare
che l'euro assolva a questo ruolo, come una moneta simbolica dell'Europa.
Sarebbe la base su cui rapportare i tassi di cambio tra le monete
nazionali. Si potrebbe allora creare un'istituzione comune per
coordinare la politica monetaria in tutta Europa, come avveniva
con il Sistema Monetario Europeo (SME) per regolare i cambi dopo
il 1979.
Domanda: I cambi definiti in rapporto all'euro potrebbero
poi, se necessario, essere modificati ordinatamente. Ma questo
significa dunque un ritorno alle monete nazionali?
Hankel: Ad una nuovo ordine monetario europeo, come già
mostra l'esperimento fallito dell'euro, non c'è un'alternativa.
Sarebbe facile reintrodurlo visto che le banche centrali ci sono
ancora. Contrariamente a quanto si crede, la Banca Centrale Europea
non è la madre delle monete e delle banche
d'emissione nazionali, piuttosto è la loro figlia.
Di conseguenza le seconde possono tranquillamente ridefinire i
compiti della prima.
Guardate ad una banconota dell'Euro. Porta un numero ed una lettera.
La lettera ci dice da quale banca d'emissione nazionale proviene
quella banconota. Non potrebbe essere che fin dall'inizio i padri
dell'euro avessero già in mente che finisse così?
Domanda: Cioè si potrebbero prendere le banconote
denominate in euro e semplicemente sulla loro base ricalcolare
la corrispondente moneta nazionale? L'altro aspetto da considerare
è che il trauma dell'inflazione degli anni Venti ha creato
nei tedeschi una sorta di allergia al cambio della moneta. Quale
le sembra la cosa più opportuna da fare?
Hankel: Occorre dire alla gente che non c'è problema
di sorta. Non è complicato ricalcolare tutti i conti e
i titoli in euro di nuovo in marchi tedeschi. Basta fare riferimento
ai vecchi tassi di cambio, che nel frattempo sono cambiati, non
dal punto di vista nominale ma da quello del mondo reale, a motivo
del variare dell'inflazione e deflazione. Occorre poi aggiornare
questi vecchi tassi di cambio in base all'indice dell'inflazione,
cioè tenendo conto della svalutazione effettiva. E per
gli impegni e i conti intereuropei i tassi reali di cambio dovranno
essere applicati. Da un punto di vista logistico una riconversione
monetaria non rappresenta una grande difficoltà.
Domanda: Quindi un ritorno alle monete nazionali non comporta
problemi particolarmente complessi?
Hankel: Certamente no. Si può tornare indietro,
non ci sono difficoltà di ordine tecnico né di ordine
economico. Si tratta però di una bella spesa. Costerebbe
cioè quanto costò il passaggio all'euro, e cioè
circa 80 miliardi di marchi. A quell'epoca non fu lo stato a staccare
l'assegno ma il conto fu girato principalmente al settore privato.
Occorrerà del nuovo software, nuovi moduli, ecc. Ma il
cambio della moneta di per sé non rappresenta un problema.
Domanda: La riforma monetaria realizzata in Francia da
De Gaulle (5) ebbe un impatto positivo sulla popolazione.
Hankel: Personalmente ritengo che l'effetto di un ritorno
al marco tedesco sulla popolazione sarebbe positivo. Occorre però
fare attenzione ad un fattore: nel passaggio all'Euro, diversi
paesi non ridefinirono soltanto i tassi di cambio per calcolare
i redditi ma anche per calcolare i prezzi. In Germania però
fu regolamentato solo il cambio riguardante il reddito. Di conseguenza
adesso l'inflazione è molto percettibile: al ristorante
chiedono per una bottiglia di vino tanti euro quanti prima erano
i marchi. Anche al parcheggio, devi mettere tanti euro quanti
marchi dovevi mettere prima. L'Olanda e qualche altro paese hanno
fatto meglio, hanno varato una legge secondo cui i tassi di cambio
valgono per tutto, anche per i prezzi. Dunque, tornando al marco,
almeno per il primo anno, occorrerà adottare una legge
di questo tipo per i prezzi.
Domanda: Oltre ad uscire dal Trattato di Maastricht, in
accordo con il diritto internazionale, e tornare alle monete nazionali,
Helga Zepp-LaRouche propone che torni in vigore la legge per la
stabilità economica e monetaria del 1967 (Stabilitäts
und Wachstumsgesets). Che cosa pensa lei al proposito?
Hankel: Com'è avvenuto con l'introduzione dell'euro,
occorre una legge: il ritorno al marco significa che il parlamento
dovrà votare una legge che dovrà essere ratificata
da entrambe le Camere del Parlamento. Questo è il primo
passo.
Questo dev'essere fatto in modo che la conversione, sia dei redditi
che dei prezzi, sia definita dalla legge. La vecchia conversione
dev'essere aggiornata in rapporto all'indice dell'inflazione,
ma, come abbiamo visto, questo non comporta ostacoli tecnici.
Né ci possono essere problemi al rientro delle banconote
in euro e all'emissione di nuove banconote in marchi.
La cosa decisiva però è un'altra: l'articolo 109
della Costituzione tedesca in cui si colloca la legge per la stabilità
e lo sviluppo del 1967 ne fa chiaramente una missione costituzionale.
In altri termini questo significa che quando l'economia complessivamente
soffre di squilibri, i ministri delle Finanze, federale e statali,
hanno la facoltà, o meglio, il dovere, di avviare una energica
politica di crescita finanziata con il deficit. Possiamo combattere
la disoccupazione e la crisi con bassi tassi d'interesse, investimenti
statali e programmi per la piena occupazione.
Domanda: Gli investimenti per le infrastrutture sono rimasti
troppo indietro. Come possono essere rilanciati? Se abbiamo capito
bene lei propone di uscire dal debito accumulando debito?
Hankel: Cerchiamo di essere un po' più precisi.
L'errore di fondo nell'unione monetaria, in particolare per quanto
concerne la cosiddetta filosofia di Bundesbank nell'unione,
è che il debito pubblico viene denunciato come se fosse
un'eresia, senza nemmeno considerare che cosa ci si fa con questo
debito pubblico.
Così c'è gente che mette il dito sull'Articolo 115
della Costituzione tedesca, dove si dice che non si può
contrarre del debito se questo non è coperto dagli investimenti.
Ma questo articolo viene generalmente male interpretato. Altro
non vuol significare che l'ammontare del debito che si può
contrarre è illimitato nella misura in cui lo stato decide
di indirizzarlo negli investimenti reali. E allora perché
lo stato dovrebbe rinunciare a fare investimenti?
I Trattati di Maastricht e di Amsterdam stipulano che l'indebitamento
dello stato non può superare il 60% del Prodotto Interno
Lordo, né il nuovo debito può superare il 3% annuo.
Tutto questo diventa lettera morta con l'uscita dal trattato.
C'è una cifra che invita a riflettere. L'unico argomento
che è stato pubblicamente dibattuto è quello del
debito pubblico, quello visibile. Si da il caso infatti che c'è
un debito pubblico invisibile, che è rappresentato
dai diritti pensionistici consolidati. Se uno versa i contributi
ha il diritto garantito alla pensione da parte dello stato e quando
va in pensione ha il diritto, in ragione degli anni lavorativi
e dei versamenti, ad un assegno mensile.
Adesso la somma complessiva di questi diritti pensionistici ammonta
in Germania al 270% del prodotto nazionale lordo. Questo è
destinato ad aumentare quando la generazione dei babyboomer comincerà
ad andare in pensione nel 2010. E' un debito pubblico implicito,
che non è registrato da nessuna parte, perché non
c'è nessuna normativa che lo impone. Ma si può calcolare
facilmente e il risultato non è messo in discussione da
nessuno. Lo ha riconosciuto e confermato lo stesso ministro delle
Finanze.
Gli obblighi finanziari che derivano non sono assolvibili nel
termini del sistema monetario vigente. Se si tira avanti con l'euro
al più tardi nel 2010 lo stato sociale tedesco andrà
in frantumi. Mentre, se si torna al marco tedesco è possibile
rendere la previdenza sociale degna di credito in quanto potrebbe
essere garantita da emissioni di nuove obbligazioni. Secondo me
questo significa che se non altro per questo motivo il sistema
dell'euro è bell'e spacciato. Inoltre all'orizzonte, nel
giro di cinque o sei anni, anche lo stato tedesco finirà
in bancarotta.
Domanda: Occorre dunque parlare di incompatibilità:
il sistema dell'euro e lo stato sociale non sono compatibili.
Di fronte alla prospettiva di questa spesa previdenziale occorre
mettere in moto immediatamente un'offensiva di sviluppo economico
generalizzato?
Hankel: Proprio così! Ho appena finito di scrivere
un articolo sull'argomento. Con un tasso di crescita del 3% il
PIL raddoppierebbe in vent'anni, e questo consentirebbe in qualche
misura di risolvere i problemi. Con un PIL doppio è implicitamente
possibile risolvere il problema del debito pubblico. Per garantire
lo stato sociale occorre sia un alto tasso di crescita che un
alto tasso d'occupazione, cosa che comporta entrate fiscali maggiori
perché più gente paga le tasse e maggiori entrate
per il fondo previdenziale. Occorre inoltre la necessaria mobilità
monetaria. Questo comporta rendere il sistema previdenziale idoneo
anche al mercato dei capitali.
Domanda: Con questa idoneità lei però non
intende la privatizzazione del sistema previdenziale?
Hankel: Privatizzazione no, ma la linea di confine è
dinamica. Perché non dovrebbe esserci una titolo
obbligazionario previdenziale nazionale , emesso dal fondo
previdenziale tedesco BfA? Si troverebbero subito degli investitori
privati pronti ad acquistare questi bonds anche se danno interessi
modesti, perché sarebbero garanti dallo stato.
Domanda: Torniamo alla politica degli investimenti. Mettendo
insieme le stime delle autorità locali, in Germania mancano
complessivamente 650 miliardi di euro di investimenti. Se a questo
si aggiunge il deficit degli investimenti a livello federale,
si arriva complessivamente a mille miliardi di euro. Si si esamina
poi il tasso d'investimento nel paese, in altre parole il rapporto
investimenti sul PIL, si conclude che ciò che occorre è
un tasso d'investimento come quello degli anni Sessanta, qualcosa
nell'ordine dei 200 miliardi di euro l'anno.
Hankel: Se si consulta l'ultimo rapporto della Bundesbank
si capisce che non è difficile. Ogni giugno, negli ultimi
15 anni, la Bundesbank ha pubblicato le cifre complessive dell'economia
nazionale. Dall'introduzione dell'euro, nel 1999, si nota un divario
crescente tra il crollo degli investimenti reali, sia privati
che pubblici, e l'aumento del risparmio. Negli ultimi quattro
anni soltanto, i risparmi monetari hanno superato gli investimenti
reali di 450 mila miliardi di euro.
Questo solleva l'interrogativo su che fine faccia questo enorme
capitale risparmiato. Negli ultimi quattro anni circa 300 miliardi
sono finiti nei bilanci pubblici (federale, statali o locali)
(7). Purtroppo il denaro non è stato impiegato negli investimenti
reali ma per tappare i buchi dei bilanci. Restano poi 150 miliardi
che vanno in fumo, e cioè finiscono nella speculazione
finanziaria di vario tipo.
Come ho già proposto, si potrebbe ricorrere a questi risparmi
a patto che il fondo dell'ente previdenziale siano messi in grado
di entrare nei mercati di capitale. Questo consentirebbe di disporre
dei finanziamenti e nel bilancio pubblico si creerebbe lo spazio
per maggiori investimenti.
Da un punto di vista economico è una vera e propria menzogna,
e anche una pazzia, sostenere che abbiamo vissuto oltre
le nostre possibilità. In realtà qui si vive
al di sotto delle nostre possiblità, perché altrimenti
non ci sarebbe mica tutta questa montagna di risparmi! Una classica
situazione keynesiana: quando i risparmi superano gli investimenti
scoppia la crisi. Qui è proprio dove ci troviamo ora.
Con un eccesso di risparmi, non ha alcun senso dal punto di vista
economico costringere i più poveri tra i poveri a versare
i contributi previdenziali, costringere i pensionati a pagare
la tassa sul reddito, tagliare i sussidi di disoccupazione e aumentare
l'IVA.
L'unica cosa che merita attenzione è come incanalare questo
risparmio. Riforma pensionistica, riforma sanitaria, assistenza
per gli anziani, ecc. tutto dipende dal rendere gli enti previdenziali
capaci di entrare nel mercato dei capitali. Con questo non mi
riferisco alle pensioni private, ma ad una apertura degli enti
pubblici al finanziamento privato, probabilmente attraverso emissioni
di appositi titoli di stato.
Domanda: In che modo sarebbe possibile creare posti di
lavoro produttivi con il finanziamento pubblico dei grandi progetti
infrastrutturali? Da parte nostra c'è la proposta di una
rete di ferrovie a levitazione magnetica Trans Rapid, in Germania
e in Europa, e che si estende poi fino a Mosca e Pechino. Che
ruolo potrebbe assolvere in questo la Banca Tedesca per la Ricostruzione,
il Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW) ?
Hankel: Ho lavorato al KfW quand'era un piccolo istituto
e ne sono stato per dieci anni l'economista capo. Voi ricorderete
la figura di Hermann-Josef Abs, che si impegnò a fare in
modo che il KfW fosse libera, creativa, capace di prendere iniziative,
ma lui anche legò il KfW alla Deutsche Bank. Oggi il KfW
è impastoiato dalla burocrazia. Ricercheranno con tutte
le proprie forze una strategia del genere? Dopo tutto la KfW dipende
dall'amministrazione finanziaria statale.
Il piano di costruire la rete Trans Rapid ha molti meriti e da
un punto di vista degli investimenti promette buoni profitti.
La KfW potrebbe occuparsene ma credo che il candidato favorito
sia la Banca Europea per gli Investimenti (BEI). La sua posizione
nei mercati dei capitali europei è migliore e potrebbe
attingere anche a fondi inglesi e statunitensi.
Domanda: Giacché lei vede in vantaggio la BEI c'è
da chiedersi: come mai sono stati sabotati i piani di grandi infrastrutture
europee proposte da Delors e da Tremonti?
Hankel: Il piano Delors era una sorta di nome in codice
per diverse competenze della Commissione UE per una attiva politica
di investimenti e occupazione, una sorta di eurokeynesianesimo.
Dopo Delors non ci sono stati altri keynesiani nella Commissione
ma solo neo-liberali. Ed essi hanno deliberatamente spinto per
la privatizzazione come primo punto. Nel Piano Delors i grandi
progetti sarebbero stati appaltati, ma questo non piaceva certo
al settore bancario privato.
I lobbisti più accesi dell'euro sono sempre le grandi banche
private, i cosiddetti 'global players' decisi a risucchiare i
capitali del mercato europeo e a promuovere le mega-fusioni. Si
è andata diffondendo, in sordina, una cartellizzazione
tra le banche tedesche, spagnole, olandesi ed italiane. Mega banche
e mega imprese hanno monopolizzato tutti i vantaggi di un mercato
comune dei capitali e di un'area monetaria, imponendo il dumping
fiscale. Ed ecco qua che un ministro delle Finanze socialdemocratico,
Eichel, finisce per dire la corbelleria che le imprese tedesche
pagano troppe tasse societarie, quando in realtà non pagano
quasi niente.
Domanda: Se abbiamo ben capito, lei considera fondamentale
per una politica degli investimenti e dell'occupazione smettere
di dilapidare di anno in anno le somme enormi del risparmio?
Hankel: Esattamente. Non c'è precedente per uno
spreco del genere di capitale. Basta consultare il rapporto della
Bundesbank affinché ciascuno si calcoli per conto proprio
queste cifre: iniettando cifre enormi di questo tipo nei mercati
finanziari, che servono soltato a sostenere il valore delle azioni,
siano esse americane o altro, esse sono una bolla e noi paghiamo
questa bolla con la perdita di posti di lavoro. C'è da
aggiungere che i profitti di questa bolla se ne vanno in fumo
ogni due o tre anni. Il sistema attuale è quello di uno
sperpero organizzato dei capitali.
A questo si aggiunge il fatto che la destatalizzazione che passa
sotto vari nomi in codice come euro e globalizzazione conduce
ad una perdita della componente sociale. Un mercato strapotente
ridimensiona lo stato persino nella sua funzione di proteggere
il singolo cittadino. La lobby della globalizzazione e dell'euro
non pretende soltanto meno presenza dello stato, ma intende svellere
l'intera rete di benefici sociali. Il fatto che lo stesso Partito
Social Democratico si lasci coinvolgere in questa manovra ha dello
straordinario.
Domanda: Nel 1997 Oskar Lafontaine (8) ha scritto un libro
intitolato Keine Angst vor der Globaliserung (Niente
da temere dalla globalizzazione). Adesso lui critica la SPD. Che
cosa ne pensa di un tipo del genere che si presenta come economista
ed esperto di politica finanziaria?
Hankel: Ricordo che Lafontaine una volta era un acceso
oppositore dell'euro. Diceva che con l'introduzione dell'euro
lo stato sociale tedesco sarebbe finito in frantumi. Poi però,
non appena eletto presidente della SPD, ha fatto una brusca sterzata
nella direzione opposta per dirigersi a tutto gas verso l'euro.
E' un individuo senza principi e senza valori. Una cosa è
essere flessibili e un'altra è essere smidollati. Diciamo
che essenzialmente è un completo sprovveduto. Il clan di
Lafontaine gioca la carta populista, sobilla la piazza, ma è
a corto di soluzioni.
Domanda: All'inizio di luglio i mercati finanziari mondiali
hanno subito la flessione più acuta dal caso LTCM, nell'autunno
1998. A dare la spinta, e non a provocare questa flessione sono
stati gli attentati dinamitardi a Londra. Nostre fonti di Londra
sostengono che le banche centrali quel giorno sono intervenute
massicciamente nei mercati finanziari.
Hankel: Ci posso davvero credere. Non sorprende affatto,
visto che negli ultimi venti e passa anni è chiaro, almeno
per me, che questo sistema è sempre stato sull'orlo della
crisi di sfiducia. Costantemente. E questo è da quando
è stato rovinato il sistema di Bretton Woods, una questione
di cui ho discusso più volte con Lyndon LaRouche.
Da quanto il sistema di Bretton Woods è stato abolito,
c'è stato un enorme volume di crediti, che è cresciuto
sempre di più in rapporto al vero potenziale economico.
A questo punto i fatturati finanziari sono novanta volte di più
del fatturato dei valori dell'economia reale. Sono catene di crediti
e sopravanzi spettacolari che sfidano l'immaginazione. E i creditori
adesso temono che devono essere congelati o cancellati.
Quando scatta l'allarme come reagiranno le orde dei creditori?
Diranno che è meglio ripulire e rassettare che perdere
proprio tutto, e questo comporta l'emissione di nuovo credito.
Questo sarà possibile nella misura in cui si riuscirà
ad avere una visione complessiva dell'insieme. Posso però
immaginare circostanze in cui le cose non fileranno liscio. C'è
chi può perdere la ragione, completamente, oppure le masse
di credito sono tali per cui non se ne può venire a capo.
Da trent'anni ormai, dalla fine del sistema di Bretton Woods,
abbiamo vissuto quello che già accadde negli anni Trenta,
e cioè che i tassi fluttuanti e i mercati finanziari non
regolamentati rendono insicura ogni forma di credito. E quando
il credito è insicuro la piramide del credito può
implodere in ogni momento. Questo è il sistema.
Possiamo cercare di sopportarlo fino a quando non esploderá
davvero, oppure cerchiamo di ripristinare ordinatamente dei rapporti
di architettura del sistema finanziario mondiale, come a Bretton
Woods.
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