IL
DIRITTO DI "RESISTENZA" estratto dalla monografia 'Disciplina e tutela dei beni culturali e ambientali' di Saverio Di Jorio (Avvocato, giurista d'ambiente, docente incaricato presso la Scuola di specializzazione post lauream in 'diritto e Gestione dell'Ambiente' - Facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università di Napoli. ) |
C'è un diritto in Italia poco conosciuto, attuato e perseguito : quello di 'resistenza'. Costantino Mortati sosteneva che la sovranità popolare si manifesta fuori dagli schemi delle funzioni elettorali e referendarie, attraverso la formazione spontanea dei raggruppamenti che perseguono fini di politica generale, ovvero che assumono poteri di decisione politica, in sostituzione degli organi competenti che trascurano o esercitano male. La sovranità popolare, da una parte, la sovranità dello Stato-persona, dall'altra ( e quella dello Stato apparato) caratterizzano la complessità. La società civile influisce sull'apparato e le sue scelte dall'esterno. Il coordinamento fra lo Stato-comunità e lo Stato-persona e fra questo e le sue entità sovrane, in democrazia, deve essere - secondo Mortati - organizzato in modo che, in caso di conflitto, sia il primo, cioè il popolo ad avere la parola decisiva. Il nostro tempo è percorso dall'antitesi fra società civile e Stato. La società civile, sede dell'autonomia, della libertà creativa, della operosa e concreta umanità ; lo Stato figura spesso chiusa negli apparati della burocrazia. La società civile è il luogo dei movimenti, delle domande nuove ed impreviste, dei contropoteri. La scoperta hegeliana della 'società civile' ha trovato in Italia lenta e difficile fortuna. Ricorda Natalino Irti che solo nel 1925 Guido De Ruggiero, in una pagina della sua "Storia del liberalismo europeo", segnalerà la grande intuizione hegeliana, cardine di tutta la scienza politica tedesca del secolo XIX. L'individuo concreto, come portatore di bisogni, è il principio della società civile. I movimenti manifestano ed esercitano il cosiddetto diritto di 'resistenza' che trae legittimazione dalla sovranità popolare, in quanto i cittadini più sensibili, aderendo ai valori consacrati nella Costituzione, sono portati a difenderli o a reintegrarli le volte in cui occorra. Secondo Mortati non ha rilievo che nella Costituzione il diritto di 'resistenza' non sia stato riconosciuto esplicitamente, pur previsto nel Progetto, ma non approvato poi dall'Assemblea, perché ritenuto inutile disciplinarlo come comportamento di fatto. La resistenza - se assume la difesa dei valori propri della costituzione - ha carattere e dignità giuridica. L'articolo 50 del Progetto che così recitava "Quando i poteri pubblici violano le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino" meritava una discussione più attenta e meno frettolosa. Si ha resistenza quando si reagisce in modo forte a violazione di diritti e libertà costituzionali. Non si tratta di contrastare o contestare atti o inerzie ma di "restaurare l'ordo iustitiae violato". La resistenza è il diritto del singolo o di gruppi organizzati o di organi dello Stato, o di tutto il popolo, di opporsi con fermezza all'esercizio arbitrario - o al non esercizio conforme a diritto - del potere statale e tende a tutelare beni fondamentali della vita del singolo o della collettività. Il diritto di resistenza diventa 'dovere di resistenza', attraverso una trasformazione e/o integrazione che deriva da scaturigini religiose. Il problema del diritto-dovere di 'resistenza' è riconducibile al rapporto libertà-autorità, lungo il quale si svolge la storia delle società umane e degli Stati dell'Occidente. Un diritto di 'resistenza' non è concepibile senza l'esistenza di una legge che i titolari della sovranità popolare sono tenuti ad osservare. La violazione di questa legge legittima e giustifica, nei modi e nelle forme stabilite, l'esercizio di quel diritto. Non può essere affermato se insieme non si afferma l'esistenza di limiti e vincoli posti al potere statale. Nella storia del diritto trova il suo fondamento ora come un istituto di diritto naturale ora come una teoria politica legata ad altre in una visione generale della natura dello Stato e dei suoi fondamenti, ora come vero e proprio programma d'azione. La dottrina della 'resistenza in Italia è di scarsa vitalità, ritrovandosi solo nei trattati sul sindacato dei giudici e dei funzionari statali. E' la Germania la terra i elezione del diritto di resistenza. Nella Baviera il diritto dei ceti di resistenza alla riscossione d'imposte stabilite dal signore della terra unilateralmente è riconosciuto già nel 1307 ma un diritto di resistenza è già consacrato nel 1315 e rinnovato nel 1358, nel 1392, nel 1429 fino alla costituzione per ceti della Baviera nel 1785. Nelle Costituzioni dei vari Lander si trova codificato un diritto-dovere di resistenza. La Costituzione dell'Assia del 1.12.1946, all'art.147, dichiara :"La resistenza contro l'esercizio contrario a Costituzione del potere politico è diritto e dovere di ciascuno. Chi ha conoscenza di una violazione della Costituzione o di un tentativo di violare la Costituzione, ha il dovere di perseguire penalmente il colpevole davanti alla Staatsgerischtshof. La legge stabilisce i particolari". Quella di Brema, del 21.10.1947, all'art.19 dispone : "Se i diritti dell'uomo stabiliti nella costituzione sono violati dal potere pubblico in contrasto con la Costituzione, la resistenza di ciascuno è diritto e dovere". La costituzione della Marca di Brandeburgo del 13.1.1947, all'art.6, stabilisce : "Contro leggi in contrasto con la morale e l'umanità sussiste in diritto di resistenza". Giovanni Cassandro, nel suo saggio, spiega che le ragioni profondo di questa diffusa particolarità del diritto costituzionale tedesco sono riconducibili non solo nella violazione del diritto e della morale determinatasi con il totalitarismo nazista ed i vertici dell'orrore raggiunti ma il problema della legittimità di una resistenza collettiva armata agitò durante la guerra molte coscienze lacerate fra il dovere di obbedire allo Stato e l'altro di obbedire al comando della coscienza morale o della legge divina. La dottrina tedesca definisce "il diritto di resistenza" come un diritto pubblico singolare (eigenartiges) che si attua contro atti e comportamenti sovrani dello Stato compiuti in maniera non conforme al diritto. Questo diritto è stato proclamato e codificato nelle Costituzioni francesi del periodo rivoluzionario ma ben presto scompare, a cominciare dalla Costituzione del 1795, e solo in parte si rifaceva a quello antico della consistente letteratura tedesca. La dottrina italiana, com'è noto, non aveva e non ha, nell'ampio processo della storia europea, dietro di sé, né la lunga tradizione giuridica germanica, né le proclamazioni di principio della Rivoluzione francese. Il Romagnosi nella sua opera "La scienza delle Costituzioni", pubblicata postuma nel 1849, inserì un diritto di resistenza, nell'ambito del suo Stato vagheggiato dalla monarchia nazionale rappresentativa, fondata su una Costituzione rigida, che si caratterizzo come resistenza della nazione armata, attraverso una guardia civica distinta dall'esercito, agli ordini del monarca e pronta a tutelare lo Stato da pericoli esterni. Solo in un sistema liberale e democratico la possibilità di non coincidenza fra auctoritas e veritas è un dato istituzionale, sottolinea significativamente Cassandro. Nella democrazia liberale la decisione si raggiunge attraverso interni contrasti e il rapporto dialettico tesi-antitesi. Il comando, così, sorge superando nella sintesi il contrasto. Lo spirito che alimenta e vivifica un regime di libertà è nel cuore dei singoli, nella coscienza individuale. La libertà, non solo come principio giuridico, ma come principio-cardine della vita circola nella storia, la muove e spinge per farne un tutt'uno come garanzia etico, politica, morale e religiosa. Anche nel "Disegno della Costituzione per la Repubblica partenopea", del 1799, redatto da Francesco Mario Pagano, sul modello delle costituzioni francesi del 1793 e del 1795, viene consacrato fra "i diritti dell'uomo" il principio che la resistenza a colui che impedisce il libero esercizio delle proprie facoltà è un diritto dell'uomo nello Stato fuorsociale che " . . . contro l'oppressione ogni uomo ha il diritto d'insorgere". In questo quadro il diritto all'ambiente e i diritti dell'ambiente, nell'ambito dei diritti fondamentali dell'uomo, imprescindibili ed irrinunciabili, connessi ed intrecciati con il diritto alla vita ed alla salute, specie nelle aree protette e di grande valenza, sono legati al senso dello Stato e della comunità. Non possono essere lasciati ad esclusiva pertinenza (e cura . . . ) di uno Stato, a volte, dotato di burocrazie anonime, indifferenti e negligenti. Occorrono attenzioni, azioni, sollecitazioni, spinte di carattere individuale ed associazionistico, supportate da professionalità, competenze, equilibrio, soprattutto non contrattualizzate con alcun rapporto economico-finanziario. |
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