Tutti
morimmo a stento
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CANTICO DEI DROGATI Ho licenziato Dio gettato via un amore per costruirmi il vuoto nell'anima e nel cuore Le parole che dico non han più forma né accento si trasformano i suoni in un sordo lamento mentre fra gli altri nudi io striscio verso un fuoco che illumina i fantasmi di questo osceno giuoco Come potrò dire a mia madre che ho paura? Chi mi riparlerà di domani luminosi dove i muti canteranno e taceranno i noiosi quando riascolterò il vento tra le foglie sussurrare i silenzi che la sera raccoglie Io che non vedo più che folletti di vetro che mi spiano davanti che mi ridono dietro Come potrò dire a mia madre che ho paura? Perché non hanno fatto delle grandi pattumiere per i giorni già usati per queste ed altre sere e chi, chi sarà mai il buttafuori del sole chi lo spinge ogni giorno sulla scena alle prime ore e soprattutto chi e perché mi ha messo al mondo dove vivo la mia morte con un anticipo tremendo? Come potrò dire a mia madre che ho paura ? Quando scadrà l'affitto di questo corpo idiota allora avrò il mio premio come una buona nota mi citeran di monito a chi crede sia bello giocherellare a palla con il proprio cervello cercando di lanciarlo oltre il confine stabilito che qualcuno ha tracciato ai bordi dellinfinito
Tu che m'ascolti insegnami un alfabeto che sia differente da quello della mia vigliaccheria
3° Intermezzo La polvere, il sangue, le mosche lodore per strada e fra i campi la gente che muore E tu, tu la chiami guerra e non sai che cosè e tu, tu la chiami guerra e non ti spieghi il perché L'autunno negli occhi, l'estate nel cuore, la voglia di dare, l'istinto di avere. E tu, tu lo chiami amore e non sai che cos'e', e tu, tu lo chiami amore e non ti spieghi perche'. RECITATIVO (Due invocazioni e un atto d'accusa) Uomini senza fallo, semidei che vivete in castelli inargentati che di gloria toccaste gli apogei noi che invochiam pietà siamo i drogati Dell'inumano varcando il confine conoscemmo anzitempo la carogna che ad ogni ambito sogno mette fine: che la pietà non vi sia di vergogna Banchieri, pizzicagnoli, notai coi ventri obesi e le mani sudate coi cuori a forma di salvadanai noi che invochiam pietà fummo traviate Navigammo su fragili vascelli per affrontar del mondo la burrasca ed avevamo gli occhi troppo belli: che la pietà non vi rimanga in tasca Giudici eletti, uomini di legge noi che danziam nei vostri sogni ancora siamo l'umano desolato gregge di chi morì con il nodo alla gola Quanti innocenti all'orrenda agonia votaste decidendone la sorte e quanto giusta pensate che sia una sentenza che decreta morte ? Uomini cui pietà non convien sempre mal accettando il destino comune, andate, nelle sere di novembre, a spiar delle stelle al fioco lume, la morte e il vento, in mezzo ai camposanti, muover le tombe e metterle vicine come fossero tessere giganti di un domino che non avrà mai fine Uomini, poiché all'ultimo minuto non vi assalga il rimorso ormai tardivo per non aver pietà giammai avuto e non diventi rantolo il respiro: sappiate che la morte vi sorveglia, gioir nei prati o fra i muri di calce, come crescere il gran guarda il villano finché non sia maturo per la falce
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LEGGENDA DI NATALE Parlavi alla luna giocavi coi fiori avevi l'età che non porta dolori e il vento era un mago, la rugiada una dea, nel bosco incantato di ogni tua idea
E venne l'inverno che uccide il colore e un babbo Natale che parlava d'amore e d'oro e d'argento splendevano i doni ma gli occhi erano freddi e non erano buoni
Coprì le tue spalle d'argento e di lana di perle e smeraldi intrecciò una collana e mentre incantata lo stavi a guardare dai piedi ai capelli ti volle baciare
E adesso che gli altri ti chiamano dea l'incanto è svanito da ogni tua idea ma ancora alla luna vorresti narrare la storia d'un fiore appassito a Natale
BALLATA DEGLI IMPICCATI Tutti morimmo a stento ingoiando l'ultima voce tirando calci al vento vedemmo sfumar la luce L'urlo travolse il sole l'aria divenne stretta cristalli di parole l'ultima bestemmia detta Prima che fosse finita ricordammo a chi vive ancora che il prezzo fu la vita per il male fatto in un'ora Poi scivolammo nel gelo di una morte senza abbandono recitando lantico credo di chi muore senza perdono Chi derise la nostra sconfitta e l'estrema vergogna ed il modo soffocato da identica stretta impari a conoscere il nodo Chi la terra ci sparse sull'ossa e riprese tranquillo il cammino giunga anch'egli stravolto alla fossa con la nebbia del primo mattino La donna che celò in un sorriso il disagio di darci memoria ritrovi ogni notte sul viso un insulto del tempo e una scoria Coltiviamo per tutti un rancore che ha l'odore del sangue rappreso ciò che allora chiamammo dolore è soltanto un discorso sospeso
CORALE (Leggenda del Re infelice) C'era un re che aveva due castelli uno d'argento uno d'oro ma per lui non il cuore di un amico mai un amore né felicità Un castello lo donò e cento e cento amici trovò l'altro poi gli portò mille amori ma non trovò la felicità Non cercare la felicità in tutti quelli a cui tu hai donato per avere un compenso ma solo in te nel tuo cuore se tu avrai donato solo per pietà |